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LA GUERRA DEI TRENT'ANNI IN AFGHANISTAN CHE NULLA HA INSEGNATO

Dopo più di nove anni di guerra, l'intervento sovietico in Afghanistan ebbe termine con una ritirata generale delle proprie truppe conclusa il 15 febbraio 1989, dopo la firma degli accordi di Ginevra tra RDA e Pakistan; gli scontri tra mujaheddin e truppe governative proseguirono nell'ambito della guerra civile afghana, fino alla caduta del governo della RDA nell'aprile del 1992.  Nel frattempo il 30 settembre 1987 fu eletto (ultimo) Presidente della Repubblica Mohammad Najibullah. Egli emanò una nuova Costituzione che prevedeva il multipartitismo, la libertà d'espressione e un sistema giudiziario indipendente, con l'intento di arrivare ad una pacificazione nazionale. Ma la politica di Eltsin in Russia fin dal 1991 - fine di qualsiasi rapporto col governo afgano - e l'avanzata da più parti verso Kabul delle colonne di mujaheddin, segnarono la fine del governo di Najibullah. Decisiva in questa fase si dimostrò la defezione delle milizie uzbeke di Abdul Rashid Dostum, che disertarono il campo governativo per schierarsi dalla parte degli oppositori. Il 17 aprile 1992 gli uzbeki di Dostum, le milizie pashtun di Hekmatyar e quelle tagike di Massoud entrarono a Kabul mentre Najibullah trovava rifugio nella sede ONU della capitale, da dove mandò un grido d'aiuto ai governi di tutto il mondo che, però, non venne accolto. Il regime fu cancellato e al suo posto i leader ribelli proclamarono lo Stato islamico dell'Afghanistan. Alla guida del Paese fu nominato Burhanuddin Rabbani ma non si arrivò a una pacificazione a causa delle molte lotte interne innescatesi fra le varie fazioni dei mujaheddin. Le divisioni etniche e tribali nel campo dei mujaheddin esplosero in tutta la loro interezza: l'elezione del tagiko Rabbani alla guida del nuovo Stato scatenò l'ostilità della maggioranza pashtun, gruppo etnico politicamente dominante per gran parte della storia afghana; ritiratesi da Kabul, le milizie pashtun di Hekmatyar dichiararono guerra al nuovo governo e iniziarono una serie di sanguinosi bombardamenti della capitale. Mentre Rabbani e Massoud continuavano a controllare il nord-est del paese, il resto dell'Afghanistan collassò in uno stato di anarchia totale, con vari signori della guerra e leader tribali intenti a spadroneggiare in lungo e in largo. Nel settembre 1996 i Talebani presero nuovamente Kabul. Il presidente Rabbani, con altre cariche politiche e militari, riuscì a fuggire nelle province settentrionali mentre Najibullah non fece in tempo, sicuro tuttavia che i talebani non avrebbero osato entrare nel palazzo dell'ONU per prelevarlo. Ma il leader dei Talebani, mullah Mohammed Omar, lo condannò subito a morte. L'esecuzione di Najibullah fu il primo atto simbolico dei talebani a Kabul. Questa triste pagina di storia afgana non ha insegnato nulla ai governi americano ed europeo tant'è che il Paese ha rivissuto le stesse fasi drammatiche di trentadue anni fa con una doppia aggravante: una fuga disordinata senza la creazione di un governo di transizione e il ricompattamento dei Talebani. Che si apprestano ad iniziare una nuova guerra contro i tentativi di infiltrazione dell'Isis.




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