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27 GENNAIO: GIORNO DELLA MEMORIA. DAI FASCISTI AL GOVERNO NESSUNA CONDANNA PER ALMIRANTE?
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- Di Comintern
- Sabato, 28 Gennaio 2023 05:54
Il 27 gennaio 1945 la scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono in modo compiuto, per la prima volta, al mondo l’orrore del genocidio nazista. Auschwitz fu il più grande dei vari complessi di campi di concentramento e svolse un ruolo fondamentale nell’attuazione della cosiddetta Soluzione Finale pianificata dai Nazisti. Ma è bene ricordare che quel campo dì concentramento fu anche il campo degli italiani. Tra gli ebrei deportati dall’Italia, infatti, la quasi totalità fu destinata ad Auschwitz e solo una piccola minoranza venne inviata ad altri campi, come Bergen Belsen e Buchenwald. Infatti, il 14 novembre 1943 la RSI approvò la cosiddetta Carta di Verona, articolata in 18 punti. In essa si dichiaravano stranieri e nemici gli appartenenti alla “razza ebraica”, dando così formale legittimità allo sterminio degli ebrei d’Italia. Il 30 novembre il governo fascista emanò un decreto di arresto indiscriminato per tutti gli ebrei e il loro internamento in uno speciale campo di concentramento provinciale: in tal modo, legittimando la pratica dell’arresto – che da allora in poi gestì in proprio – la RSI autorizzò anche la deportazione degli ebrei da parte tedesca. Il campo di concentramento nazionale fu istituito il 2 dicembre 1943 a Fossoli di Carpi (Modena) per ordine della Prefettura di Modena; nel successivo febbraio i tedeschi, subentrati agli italiani nell’amministrazione del campo, organizzarono i convogli di ebrei principalmente verso Auschwitz. Complessivamente da Fossoli passarono 2445 ebrei. Oggi il fascista La Russa, presidente del Senato, propone di intitolare un giorno del calendario al ricordo e alla condanna delle leggi razziali. Prima lui, Meloni e il loro stesso partito, erede del fascismo, devono condannare pubblicamente Giorgio Almirante. Quel Giorgio Almirante che scriveva sul periodico fascista «La difesa della razza» del 5 maggio 1942: "Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d'una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c'è che un attestato col quale si possa imporre l'altolà al meticciato e all'ebraismo: l'attestato del sangue".