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1992: L'ANNO CHE HA SCONVOLTO L'ITALIA

Doveva essere l'anno della nascita dell'Unione Europea, delle Olimpiadi invernali di Albertville e di quelle estive di Barcellona, della riabilitazione di Galileo Galileo da parte della Chiesa cattolica in merito alle sue idee sulla concezione celeste e del 500° della scoperta del Nuovo Continente. Ed invece il 1992 è ricordato come uno degli anni più drammatici della nostra storia repubblicana.

 

SULL’ORLO DELLA BANCAROTTA

 

Sul finire del 1991 a Maastricht viene firmato il trattato per l'adozione della moneta unica entro la fine del decennio, ma nel settembre del 1992 esplode la crisi valutaria: lira e sterlina escono dal Sistema Monetario Europeo (SME) che legava le valute partecipanti a una griglia di cambio predeterminata e il rendimento dei titoli di stato si impenna. Venerdì 11 settembre 1992 i tassi sul mercato monetario arrivano a sfiorare il 40% e anche se il referendum francese di adesione all'Unione Monetaria Europea (UME) del successivo 20 settembre ha esito positivo con un’esigua maggioranza di voti a favore, le tensioni sui mercati sono solo parzialmente allentate. Come si arrivò a questa crisi? Bisogna tornare indietro di tre mesi, al 2 giugno, allorquando i cittadini danesi si pronunciano, seppur di misura, contro la ratifica del trattato di Maastricht. Scrisse all’epoca Fabrizio Saccomanni, ex Direttore Generale della Banca d'Italia: “Una scintilla apparentemente trascurabile quale un referendum in uno dei paesi più piccoli d'Europa, fa divampare un incendio senza precedenti nel cantiere della costruzione economica e monetaria europea” evidenziando il fatto che i mercati sono rapidissimi a realizzare le implicazioni del referendum e un'ondata speculativa senza precedenti investe anzitutto le valute Sme le cui economie presentano maggiori criticità sul fronte dei fattori fondamentali, rendendo le parità poco credibili: la lira è una delle vittime più colpite. A fronte dell'aggravarsi delle tensioni, a fine agosto di quell’anno, le posizioni dei governi dei principali paesi europei anziché convergere verso una soluzione concordata si irrigidiscono: in Francia perché si vuole evitare riallineamenti prima del referendum, in Germania perché si ritiene che manchino i presupposti per una riduzione dei tassi ufficiali. Il successivo 5 settembre l’ECOFIN si limita a rilasciare una semplice dichiarazione volta a non modificare le parità dei cambi nello SME in quanto di scarso impatto sui mercati finanziari. In effetti  si ritiene che il problema serio riguarda soprattutto l'Italia e, quindi, in quel settembre 1992 i partner europei non riescono a capire che ci si trova, invece, in presenza di una crisi sistemica dello SME e che la crisi si può superare solo reinterpretando lo SME quale anticipazione della moneta unica con un impegno collettivo in assenza del quale può essere travolto anche il più modesto meccanismo di cambio. Negoziati febbrili si svolgono nel weekend 12-13 settembre: l'Italia dà la sua disponibilità alla svalutazione ma sostiene che un riallineamento della sola lira non sarebbe credibile per i mercati, specialmente se non accompagnato da un allentamento della restrizione monetaria in Germania. L'esito dell’incontro è che la lira svaluta del 7%, tutte le altre parità restano invariate e la Germania riduce il tasso di sconto di un minuscolo quarto di punto: con questa poco lusinghiera performance, lo SME si presenta sui mercati lunedì 14 settembre 1992. Nei giorni seguenti nuove tensioni speculative investono la lira, la sterlina e la peseta: Italia e Gran Bretagna annunciano di uscire dagli accordi europei di cambio dello SME, la Spagna svaluta la peseta del 5%. Tra il novembre 1992 e il maggio 1993 svalutano due volte ciascuna la peseta spagnola e l'escudo portoghese e una volta, del 10%, la sterlina irlandese. Si realizza così, in un'altalena di tensioni sui mercati, quel riallineamento ampio dello Sme che l'Italia aveva proposto senza successo nel settembre 1992 e la Banca d’Italia riporta gradualmente il tasso di sconto ai livelli pre-crisi ricostituendo le riserve in valuta. Il prezzo pagato dagli italiani è altissimo, un vero e proprio massacro sociale perpetrato nella notte tra il 9 ed il 10 luglio 1992. Il governo opera un prelievo forzoso ed improvviso del 6 ‰ su tutti depositi bancari, autorizzato da un decreto legge di emergenza varato mentre i mercati si accaniscono sulla Lira e declamate in fretta e furia tanto è il bisogno di liquidità. Dall’aumento dell’età pensionabile alla patrimoniale sulle imprese, dalla minimum tax all’introduzione dei ticket sanitari, dalla tassa sul medico di famiglia all’imposta straordinaria sugli immobili pari al 3‰ della rendita catastale rivalutata. Il prelievo sui conti correnti e l’Isi fruttano insieme 11.500 miliardi di lire. L’imposta straordinaria sugli immobili sarebbe poi diventata una gabella ordinaria: l’imposta comunale sugli immobili, ovverosia l’Ici. Diversamente da quanto il governo spera, la manovra economica di luglio più la finanziaria – che sfiorano insieme  100.000  miliardi di lire promuovendo anche la privatizzazione di quattro colossi statali come Iri, Enel, Ina ed Eni che divennero delle società per azioni – portano comunque l’economia italiana sull’orlo della recessione; come detto la Lira deve uscire dallo SME neppure tre mesi dopo quella notte di luglio, e nella primavera successiva Giuliano Amato si dimette da capo del governo. Ma il 1992 resta nella storia del nostro Paese come un «annus horribilis» anche per altri drammatici eventi, tra tutti l’inchiesta Mani Pulite e le stragi di mafia.

 

MANI PULITE: UNA TANGENTOPOLI ITALIANA


È il 17 febbraio 1992, un anonimo tardo pomeriggio di un lunedì lavorativo di febbraio destinato a cambiare l'assetto politico dell'Italia. Nello studio del Presidente del “Pio Albergo Trivulzio” di Milano, un noto istituto di cura per anziani indigenti fondato nella metà del Settecento con oltre un migliaio di dipendenti ed un ricco patrimonio finanziario-patrimoniale, avviene un fatto molto grave: il titolare di una azienda di pulizie di Monza specializzata nello smaltimento di rifiuti ospedalieri, la ILPI di Luca Magni, dà al Presidente una busta contenente 7 milioni di lire per la vincita di un appalto, a fronte di una tangente di 14 milioni di lire, 10% dell'appalto vinto, l'ennesimo. Magni lavora da almeno un paio di anni per la “Baggina” (altro nome per cui è conosciuto l'istituto) e non riesce più a pagare l'obolo. Il 13 febbraio, stanco di questa vessazione, va  a confessare tutto ai carabinieri che decidono, grazie all'apporto di un sostituto procuratore, di facilitare un incontro tra lui ed il Presidente. Magni va nel suo studio, molto teso vista la delicata situazione, con nel taschino una penna con registratore, consegna la valigetta, con all'interno una piccola telecamera: il Presidente non è contento della richiesta di differimento ma accetta  la soluzione del Magni di dargli la restante parte la settimana successiva. Non appena esce dallo studio del Presidente, i carabinieri entrano e lo arrestarono in flagranza di reato. L'arrestato è Mario Chiesa, ingegnere milanese di 48 anni, di fede politica socialista con il sogno di diventare, a breve, sindaco di Milano. In un buffo tentativo di fuga, Chiesa si precipita in bagno e getta nel gabinetto altri 37 milioni di lire frutto di un altra tangente poco tempo prima incassata. Viene subito condotto nel carcere di san Vittore: a coordinare l'arresto sono il capitano Roberto Zuliani della caserma di via Moscova ed il magistrato Antonio Di Pietro. Alle ore 22:16 l'Ansa fa uscire la notizia dell'arresto, ma questo evento sembra non interessare particolarmente l'opinione pubblica milanese. L'arresto in flagranza di Chiesa, e la sua confessione, danno però il via alle indagini di “Mani pulite” da cui gli italiani scopriranno il malcostume che riguardava tutta la classe politica italiana e che porterà alla fine del vecchio sistema di partiti, creato con la nascita della Repubblica subito dopo la guerra. Nulla dopo fu più come prima.




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