Login

IL GROVIGLIO DEL SALARIO MINIMO GARANTITO

Del “salario minimo” – di cui periodicamente si torna a parlare nel nostro Paese in attesa di trovare tempi e modi giusti per metterlo al centro della discussione politica – si sta iniziando a discutere anche a livello di Commissione Europea, con la necessaria premessa che l'eventuale delibera non sarà vincolante per i paesi membri ognuno dei quali si regola in maniera diversa. La distinzione fondamentale tra i regimi europei concerne il campo di applicazione, di tipo universale, in quanto applicabile a tutti i lavoratori, ovvero settoriale, poiché destinata a settori o gruppi di occupati. Nettamente prevalente è il primo regime, presente in 22 paesi su 28; l’Italia rientra nel secondo regime, unitamente ai paesi nordici (Danimarca, Finlandia e Svezia) e all’Austria. Quindi, se non prepotentemente concordata con tutte le organizzazioni sindacali e certificata da legge costituzionale, l’introduzione del salario minimo invece di garantire un salario contrattuale a chi viene sottopagato, servirebbe a legalizzare un salario minimo a chi ne prende ancora uno contrattuale in modo tale che il “minimo sindacale” diventerebbe il “massimo sindacale”. In aggiunta, cosa non da poco, bisognerebbe fissare per legge l'adeguamento biennale del salario minimo al costo della vita, ma soprattutto valutare con estrema attenzione l’impatto che potrebbe avere il livello di fissazione del salario minimo orario sulle diverse aree geografiche del nostro Paese, laddove andrebbe ad incidere in modo particolare su imprese piccole e piccolissime nel Mezzogiorno, tipicamente a conduzione familiare e caratterizzate da una forte competizione sui costi. Anche in virtù della relazione stretta con i propri dipendenti, per categorie di imprese un innalzamento del costo del lavoro potrebbe, purtroppo, portare non solo e non tanto a una dismissione di salariati quanto, piuttosto, anche a una riduzione o sotto-dichiarazione delle ore da essi lavorate.

 

  • La situazione del salario lordo in Italia 

In Italia il salario orario lordo mediano (cioè che considera l’ambiente complessivo delle varie tipologie di lavoro) dei lavoratori dipendenti nei settori privati non agricoli è pari a 11,20 euro, laddove il valore più elevato, sia medio (cioè che considera l’ambiente della singola tipologia di lavoro) che mediano, viene registrato nelle grandi imprese. Motivo per cui il presidente di Confindustria può affermare che il problema non gli riguarda. Differenze si registrano nel salario anche rispetto al regime orario di lavoro e al tipo di contratto: i lavoratori a tempo parziale percepiscono un salario orario mediano inferiore di oltre l'11% rispetto al totale; i lavoratori a tempo determinato scontano un salario mediano inferiore dell'8,7% rispetto al totale.

 

  • Prospettive di sviluppo della legislazione 

Sul salario minimo garantito esiste una proposta, attualmente in discussione in Parlamento, che lo fissa in 9,00 euro lordi l’ora inteso al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e che non tiene in considerazione le mensilità aggiuntive che vengono erogate su base annua, come la tredicesima e l'eventuale quattordicesima, oppure i bonus erogati come premio. Il salario di 9,00 euro lordi corrispondere a un valore pari all'80% della mediana delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti nel settore privato in Italia. La distribuzione del salario minimo orario presenta una tendenza in corrispondenza del valore di 7,30 euro che corrisponde, di fatto,  all'imponibile contributivo minimo mentre è pari allo 0,09%, ininfluente statisticamente, la quota dei rapporti di lavoro sotto tale valore. Pertanto, la popolazione di interesse per il salario minimo orario è quella che percepisce una paga superiore a 7,30 euro. Una stima da parte di INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) relativa all'impatto dell'introduzione di un salario minimo legale pari a 9,00 euro lordi all'ora distingue tra lavoratori – dipendenti nel settore privato non agricolo, esclusi i lavoratori domestici – a tempo pieno e a tempo parziale. I lavoratori beneficiari dell'introduzione di un salario minimo legale a 9,00 euro orari sarebbero circa 2,6 milioni di cui circa 1,9 milioni di lavoratori a tempo pieno (il 18,4% del totale dei dipendenti a tempo pieno) per un costo di 5,2 miliardi di euro, e circa 680.000 lavoratori a tempo parziale (il 29% del totale dei dipendenti part-time) per un costo di 1,5 miliardi di euro. Il costo totale per le imprese in questione ammonterebbe a 6,7 miliardi di euro.

 

  • Punti di attenzione e criticità 

Ovviamente, come è normale che sia in ogni svolta epocale in politica, la riforma del salario minimo garantito presenta anche  fattori che incidono in misura rilevante sull'eterogeneità dell'impatto atteso, due sono quelli più importanti: (1) la dimensione d'impresa e (2) la ripartizione geografica di lavoro. Questi elementi identificano gran parte della variabilità delle caratteristiche del tessuto produttivo italiano e, di conseguenza,  anche la spesa necessaria all'adeguamento ad un salario minimo verrebbe condizionata in misura considerevole. Infatti, oltre alla stima della spesa complessiva che l'introduzione di un salario minimo legale comporterebbe,  diventa cruciale la previsione della distribuzione della spesa secondo il profilo delle imprese coinvolte: la diversa sostenibilità del salario minimo legale, in termini di salario aggiuntivo, e le conseguenti differenti reazioni della domanda di lavoro, sono variabili determinanti nel valutare possibili esiti della misura. L'analisi condotta in base alla dimensione aziendale, sempre relativa ai dipendenti a tempo pieno, evidenzia il più basso livello medio del salario orario per le piccole imprese e l'aumento sistematico del salario medio al crescere della dimensione aziendale. L'analisi condotta in base alla presenza territoriale evidenzia come la distribuzione del salario orario nelle imprese del Mezzogiorno è caratterizzata da un livello medio più basso rispetto alle altre zone del Paese e risulta, quindi, che una quota maggiore di lavoratori nel Mezzogiorno percepisce una retribuzione oraria più bassa rispetto al totale nazionale; conseguentemente, la spesa per l'adeguamento ad un livello orario minimo risulterebbe maggiore rispetto alle altre ripartizioni territoriali.

 

  • L'impatto sulla struttura retributiva dei livelli di inquadramento contrattuali

È stato fatto rilevare come l'introduzione di un salario minimo legale pari a 9,00 euro lordi all'ora inciderebbe sul 21% degli occupati, con un costo complessivo (al netto degli oneri sociali obbligatori e della quota accantonata del trattamento di fine rapporto, importi che sono basati sul livello della retribuzione lorda mensile) per il sistema delle imprese stimabile in 6,7 miliardi di euro con una notevole eterogeneità per dimensione di impresa e per ripartizione territoriale. È presente un ulteriore aspetto, importante, da tenere presente e riguarda le implicazioni dell'introduzione di un salario minimo fissato a soglia 9,00 euro per la struttura retributiva dei livelli di inquadramento contrattuali. Nel contratto del commercio, ad esempio, l'introduzione di un salario minimo a 9,00 euro all'ora inciderebbe sui livelli sesto e settimo dell'inquadramento contrattuale,  parificandoli al salario attualmente previsto per il quinto livello. Ragion per cui, se la contrattazione collettiva intendesse mantenere almeno in parte le differenziazioni salariali tra i vari livelli di inquadramento, l'introduzione del salario minimo si riverbererebbe anche sulla retribuzione dei livelli non direttamente coinvolti dalla riforma.

 

In conclusione, qualunque sia il livello di fissazione del salario minimo orario, visto e considerato come questo inciderebbe in modo particolare su imprese piccole e piccolissime nel Mezzogiorno, caratterizzate in prevalenza da una conduzione familiare e costrette ad una forte competizione sui costi, bisognerebbe evitare che un innalzamento del costo del lavoro possa provocare fenomeni degenerativi di licenziamenti di massa oppure di false dichiarazioni di ore lavorate. Il dibattito in Parlamento, quando e se ci sarà, non consisterà in una passerella di interventi di tipo elettorale ma in un serrato confronto-scontro tra le forze politiche – ma anche tra quelle padronali e quelle sindacali – che potrebbe prendere in considerazione una fase transitoria per cui i costi per le imprese possano venire attutiti con l'introduzione da parte del governo di un credito di imposta, calibrato sui soli dipendenti beneficiari del salario minimo. Il rischio più grande resta, dal mio punto di vista, quello che già aveva più che intuito Karl Marx, verso la fine del 1879, allorquando la Federazione del Partito dei lavoratori socialisti in Francia cominciò a lavorare a un programma politico ed egli insistette nel proporre l’eliminazione di “quella stupidaggine del salario minimo” (come ci ricorda Friedrich Engels) e cioè che “…un provvedimento del genere, qualora venisse adottato, porterebbe al risultato per cui, in base alle leggi economiche, il minimo garantito diventerebbe il massimo” come ribadì anche la sua figlia maggiore, Jenny Longuet, in una lettera inviata il 23 novembre 1880, al marito. Questo è il più grande dei rischi possibili, sul quale si misureranno la forza politica e la capacità contrattuale di imprenditori e sindacati, ben sapendo questi ultimi che l’attuale Confindustria, la quale  formalmente mostra distacco perché poco o nulla coinvolta dalla riforma, potrebbe farsi portavoce di un depotenziamento dei contratti collettivi nazionali nel tentativo di dare maggiore potere e maggiore spazio alla contrattazione aziendale, più facilmente orientabile. 

(fonte dati statistici: INAPP, giugno 2019) 




Template per Joomla!®: Themza - Design: Il gatto ha nuove code