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INDEGNA FINE DEL DECRETO DIGNITA'

Il «governo dei migliori» ha scardinato, nel silenzio dei media nazionali, i paletti del decreto Dignità relativo alla riforma dei contratti a termine. Confindustria festeggia avendo visto accogliere  la sua proposta. Un emendamento del Pd - identico ad altri di Forza Italia, Lega e Fdi - consente d'ora in poi di prorogare i rapporti a termine senza indicare causali, previo accordo con i sindacati a livello nazionale o aziendale. Di fatto, però, la riforma non fissa un limite temporale alla deroga e apre la strada, fino al 30 settembre 2022, alla possibilità di firmare un nuovo contratto a termine anche con un lavoratore che la stessa azienda abbia già impiegato a tempo determinato per 24 mesi. La legge è in  vigore dal 25 luglio 2021, allorquando è avvenuta la conversione del decreto «Sostegni bis»: uscita in Gazzetta Ufficiale, dipanerà i suoi effetti nei dati Istat in arrivo a settembre con un probabile ulteriore aumento dei contratti precari, che rispetto al crollo di aprile 2020 erano già cresciuti di 380mila unità in meno di un mese dall’entrata in vigore. È stato, quindi, smantellato il provvedimento che come rivendicato dall’allora ministro del Lavoro e dello Sviluppo Luigi Di Maio “licenziava il Jobs Act“ e che ha avuto un impatto molto positivo sulle conversioni di contratti a termine in rapporti di lavoro stabili: secondo l’Inps, prima della pandemia sono aumentate del 60% rispetto al biennio precedente. Il «decreto Dignità» approvato tre anni fa durante il primo governo Conte, a guida M5S e Lega, non esiste più. Il suo obiettivo dichiarato era quello di favorire la ripresa occupazionale post pandemia, ma una deroga temporanea alle causali già c’era: se l’intento fosse stato quello, sarebbe stato sufficiente prolungarla ancora per un po’. Invece il corto circuito andato in scena in Parlamento ha prodotto una modifica permanente, che non verrà meno una volta centrato il recupero dei posti di lavoro pre Covid, perdendo in tal modo l’occasione per spingere sulla creazione di lavoro stabile con il traino del PNRR:  si (ri)apre la strada alla sostituzione di lavoratori licenziati (ora che il blocco è finito) con lavoratori precari. Senza che Draghi tenga conto, ora che è al timone del governo, di quanto andava affermando nel 2010, in altre vesti:  la precarietà tende ad andare a scapito della produttività. Ma quali sono le nuove norme che “sostituiscono” quelle originarie? La prima modifica afferma che attraverso la contrattazione nazionale, territoriale o aziendale, sarà possibile concordare con i sindacati “specifiche esigenze” che giustificano il prolungamento del contratto precario, anche al posto di un’assunzione stabile. Quelle esigenze consentiranno proroghe o rinnovi dopo i primi 12 mesi senza necessità di fornire motivazioni, cioè le famose “causali” reintrodotte dal «decreto Dignità» dell’allora ministro del lavoro Luigi Di Maio nel 2018, invise alla Confindustria che ha sempre lamentato l’eccesso di rigidità: ora basterà un passaggio con le rappresentanze sindacali interne, che sono spesso inclini ad accettare prolungamenti dei contratti a termine a fronte di alcune stabilizzazioni o di esigenze temporanee, o peggio, sotto minaccia di tagli indiscriminati. L’unico vincolo è che la durata complessiva non superi i 24 mesi venendo, quindi, normalizzato il ricorso alle deroghe già consentite attraverso i cosiddetti “accordi di prossimità”. Tardivamente parlamentari M5S e LeU hanno tentato di correre ai ripari con un emendamento che avrebbe dovuto riparare all’incredibile errore commesso e limitare l’estensione temporale della deroga al 30 settembre 2022. Ma al momento di coordinare il testo di legge e gli emendamenti, quei parlamentari si sono resi conto che quel termine temporale non si applicava alla modifica precedente, cioè quella su proroghe e rinnovi: il legislatore – come  ha fatto notare Confindustria – ha esteso il campo di applicazione delle “causali contrattuali” che non limiteranno i loro effetti alla sola disciplina dei rinnovi e delle proroghe ma che consentiranno anche di avvalersi di una nuova ipotesi di lavoro a termine. Il che significa: lungi dal circoscrivere la prima deroga – che resta senza scadenza – l’emendamento aggiunge e finisce per creare una nuova fattispecie. Ora per le aziende, sempre sulla base di contratti collettivi o aziendali, è possibile ricorrere al lavoro precario stipulando fin dal principio un contratto di durata superiore a 12 mesi e fino a 24 mesi. Di fatto, secondo il parere di Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma, alla modifica nel suo complesso si aggiunge un ulteriore dettaglio, più precisamente “una nuova ipotesi di lavoro, del tutto speciale, che consente l’assunzione temporanea nei casi previsti dalla contrattazione collettiva”. Il giuslavorista lo definisce “contratto a termine a durata minima garantita” ed elogia questa “opportunità” che dal suo punto di vista favorirà “l’occupazione temporanea, ma di qualità perché durevole nel medio tempo”, visto che il contratto dovrà durare almeno 12 mesi. Oltre questa discutibile, sicuramente di parte, valutazione emerge un altro aspetto: dall’analisi del testo di legge si evince che “il datore di lavoro potrà concludere il nuovo contratto non solo con i lavoratori da lui in passato assunti a tempo determinato, ma anche quando questi lavoratori abbiano già raggiunto il limite dei 24 mesi o il diverso limite previsto dai contratti collettivi” che potranno anche prevedere una durata complessiva superiore ai 24 mesi. Il tutto entro il 30 settembre 2022, con la conseguenza che un lavoratore assunto con un contratto di 12 mesi il 1 agosto 2021 potrebbe poi firmarne un altro di 24 mesi a fine settembre 2022, estendendo il periodo di precariato fino all’autunno 2024. E la chiamano dignità!!




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