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Programma dell’Internazionale comunista (1928)

 

  • Introduzione

 

L’epoca dell’imperialismo è l’epoca del capitalismo morente. La guerra mondiale degli anni 1914-1918 e la crisi generale del capitalismo che essa ha scatenato furono conseguenze immediate della profonda contraddizione esistente tra lo sviluppo delle forze produttive dell’economia mondiale e la ripartizione di esse in Stati. Esse hanno provato che in seno alla società capitalistica già sono mature le condizioni materiali del socialismo; che l’involucro capitalista della società è diventato un insopportabile ostacolo per l’ulteriore sviluppo della umanità e che la storia pone all’ordine del giorno il compito di spezzare con la rivoluzione il giogo del capitalismo.     
L’imperialismo assoggetta alla dittatura di una plutocrazia capitalistica finanziaria enormi masse di proletari di tutti i paesi, a partire dai centri del potere capitalistico sino agli angoli più remoti del mondo coloniale. L’imperialismo mette a nudo e approfondisce con una forza elementare tutte le contraddizioni della società capitalistica, spinge sino al limite estremo l’oppressione di classe, acutizza al massimo grado la lotta tra gli Stati capitalistici, donde inevitabili guerre imperialistiche mondiali, che scuotono tutto il sistema dei rapporti esistenti, e porta, con necessità ferrea, alla rivoluzione proletaria mondiale.      
L’imperialismo incatena tutto il mondo ai ceppi del capitale finanziario. Col sangue, col ferro e con la fame esso costringe i proletari di tutti i paesi, di tutte le nazionalità e di tutte le razze a piegarsi al suo giogo, aggrava in modo gigantesco lo sfruttamento, l’oppressione e l’asservimento del proletariato e pone davanti ad esso il compito immediato della conquista del potere. Così esso crea la necessità dell’unione più stretta degli operai in un unico esercito internazionale dei proletari, di tutti i paesi al di sopra delle divisioni segnate dalle frontiere degli Stati, dalla nazionalità, dalla cultura, dalla lingua o dalla razza, dal sesso o dalla professione. Sviluppando e portando a termine il processo di creazione delle condizioni del socialismo, l’imperialismo crea l’esercito dei suoi propri seppellitori e pone il proletariato di fronte alla necessità di organizzarsi in una associazione internazionale di combattimento degli operai.      
D’altra parte l’imperialismo stacca quella parte della classe operaia che ha un’esistenza più sicura dalle masse fondamentali del proletariato. Questa parte più elevata della classe operaia, che è corrotta e demoralizzata dall’imperialismo, che costituisce i quadri dirigenti dei partiti socialdemocratici, che è interessata allo sfruttamento imperialistico delle colonie, che è legata alla <<propria>> borghesia e al <<proprio>> Stato imperialistico, nelle battaglie di classe decisive è passata dalla parte del nemico di classe del proletariato. La scissione del movimento socialista provocata nell’anno 1914 da questa defezione, e i tradimenti successivi dei partiti socialdemocratici, diventati di fatto partiti operai borghesi, dimostrano che il proletariato internazionale può adempiere la sua missione storica, l’abbattimento del giogo dell’imperialismo e la conquista della dittatura proletaria, solamente lottando con accanimento contro la socialdemocrazia. L’organizzazione delle forze della rivoluzione internazionale è quindi possibile soltanto sulla piattaforma del comunismo. Alla Seconda Internazionale opportunista della socialdemocrazia, che è diventata un’agenzia dell’imperialismo in seno alla classe operaia, si contrappone ineluttabilmente la Terza Internazionale comunista, che è l’organizzazione internazionale della classe operaia e incarna la vera unità degli operai rivoluzionari di tutto il mondo.        
La guerra degli anni 1914-1918 dette origine ai primi tentativi di costituzione di una nuova Internazionale, di una Internazionale rivoluzionaria, come contrapposizione alla Seconda, all’Internazionale socialpatriottica e come strumento di resistenza all’imperialismo guerriero (Zimmerwald, Kienthal ). La vittoria della rivoluzione proletaria in Russia dette l’impulso alla formazione di partiti comunisti nei paesi capitalistici e nelle colonie. Nell’anno 1919 venne fondata l’Internazionale comunista, la quale, per la prima volta nella storia del mondo, riunisce di fatto, nella pratica della lotta rivoluzionaria, l’avanguardia del proletariato europeo e americano con i proletari della Cina e dell’India, con i lavoratori negri dell’Africa e dell’America.
Partito unico, partito centralizzato e internazionale del proletariato, l’Internazionale comunista è la sola continuatrice dei princìpi della Prima Internazionale che essa realizza sopra una nuova base, sopra la base di un movimento proletario rivoluzionario di massa. L’esperienza della prima guerra imperialistica, del successivo periodo di crisi rivoluzionaria del capitalismo, di una serie di rivoluzioni in Europa e nei paesi coloniali; l’esperienza della dittatura del proletariato e della costruzione del socialismo nell’URSS; l’esperienza del lavoro di tutte le sezioni dell’Internazionale comunista, raccolta nelle risoluzioni dei suoi congressi; infine, la sempre più grande internazionalizzazione della lotta tra la borghesia imperialista e il proletariato, tutto ciò pone la necessità di un programma unico e comune a tutte le sezioni dell’Internazionale comunista. Il programma dell’IC, essendo dunque la più alta sintesi critica dell’esperienza storica del movimento rivoluzionario internazionale del proletariato, è il programma della lotta per la dittatura proletaria mondiale, il programma della lotta per il comunismo mondiale.
L’internazionale comunista, che unisce gli operai rivoluzionari e conquista a sè masse di milioni di oppressi e di sfruttati schierandoli contro la borghesia e i suoi agenti <<socialisti>>, considera se stessa erede storica della Lega dei comunisti e della Prima Internazionale, le quali si trovarono sotto la direzione immediata di Marx, e continuatrice delle migliori tradizioni di anteguerra della Seconda Internazionale.      
La Prima Internazionale gettò le basi ideologiche della lotta proletaria internazionale per il socialismo. La Seconda Internazionale, nel suo periodo migliore, preparò il terreno per una espansione larga, di massa, del movimento operaio. La Terza internazionale, l’Internazionale comunista, continuando l’opera della Prima e raccogliendo i frutti del lavoro della Seconda, ha risolutamente respinto l’opportunismo di quest’ultima, il suo socialpatriottismo, la deformazione borghese del socialismo da essa compiuta e ha incominciato a realizzare la dittatura del proletariato. L’internazionale comunista continua le gloriose eroiche tradizioni del movimento operaio internazionale: le tradizioni dei cartisti inglesi e degli insorti francesi dell’anno 1831, degli operai rivoluzionari francesi e tedeschi del 1848 e degli immortali combattenti e martiri della Comune di Parigi; le tradizioni dei coraggiosi soldati della rivoluzione tedesca, ungherese e finlandese, degli operai che, oppressi un tempo dal despotismo degli zar, sono diventati i realizzatori vittoriosi della dittatura proletaria, le tradizioni dei proletari cinesi, eroi di Canton e Shanghai.  
Appoggiandosi all’esperienza storica del movimento operaio rivoluzionario di tutti i continenti e di tutti i popoli, l’Internazionale comunista si pone intieramente e senza riserve, nella sua attività teorica e pratica, sul terreno del marxismo rivoluzionario, sviluppato nel leninismo, il quale non è altro che il marxismo dell’epoca dell’imperialismo e delle rivoluzioni proletarie.      
Diffondendo e facendo propaganda del materialismo dialettico di Marx e di Engels, applicandolo come metodo rivoluzionario di conoscenza della realtà agli scopi della trasformazione rivoluzionaria di essa, l’Internazionale comunista conduce una lotta attiva contro tutti gli aspetti della concezione borghese del mondo, e contro tutti gli aspetti dell’opportunismo teorico e pratico. Ferma sul terreno della lotta di classe conseguente del proletariato, subordinando gli interessi temporanei, parziali, corporativi e nazionali del proletariato ai suoi interessi permanenti, generali, internazionali, l’Internazionale comunista strappa spietatamente la maschera a tutte le forme della dottrina della <<pace di classe>> che i riformisti hanno preso a prestito dalla borghesia. Esprimendo la necessità storica dell’organizzazione internazionale dei proletari rivoluzionari, seppellitori del sistema capitalistico, l’Internazionale comunista è l’unica forza internazionale la quale ha come programma la dittatura del proletariato e il comunismo e agisce apertamente come organizzatrice della rivoluzione proletaria mondiale.

 

  • Il sistema mondiale del capitalismo, il suo sviluppo e la sua inevitabile rovina

 

1. Le leggi generali di sviluppo del capitalismo e l’epoca del capitale industriale

La società capitalistica, basata sullo sviluppo della produzione di merci, è caratterizzata dal monopolio della classe dei capitalisti e dei grandi proprietari di terre sui mezzi di produzione più importanti e decisivi, dallo sfruttamento della mano d’opera salariata della classe dei proletari, privi di ogni mezzo di produzione e costretti a vendere la loro forza di lavoro, dalla produzione di merci per ricavarne profitto e dall’anarchia del processo della produzione in generale, come conseguenza di tutti questi elementi. I rapporti di sfruttamento e la signoria economica della borghesia trovano la loro espressione politica nell’organizzazione dello Stato capitalistico, apparato di oppressione del proletariato.  
La storia del capitalismo conferma pienamente la dottrina di Marx sulle leggi di sviluppo della società capitalistica e sulle contraddizioni di questo sviluppo, le quali traggono tutto il sistema capitalistico a una inevitabile caduta.        
Nella corsa al profitto la borghesia è stata spinta a sviluppare in misura sempre crescente le forze produttive, a consolidare ed estendere il dominio dei rapporti di produzione capitalistici. In pari tempo lo sviluppo del capitalismo riproduceva continuamente sopra una scala più larga tutte le contraddizioni interne del sistema capitalistico, innanzi tutto la contraddizione fondamentale tra il carattere sociale del lavoro e il carattere privato dell’appropriazione, tra l’accrescimento delle forze di produzione e i rapporti di proprietà capitalistici. Il dominio della proprietà privata dei mezzi di produzione e il processo elementare anarchico della produzione, portarono alla rottura dell’equilibrio economico tra le diverse branche produttive, in relazione con lo sviluppo della contraddizione tra la tendenza a una illimitata estensione della produzione e i consumi limitati delle masse proletarie (sovrapproduzione generale .Ciò ebbe come conseguenza delle crisi devastatrici periodiche e una disoccupazione di massa del proletariato. Il dominio della proprietà privata trovò la sua espressione nella concorrenza tanto nei diversi paesi capitalistici quanto sopra un mercato mondiale sempre più esteso. Quest’ultima forma di rivalità tra capitalisti ebbe come conseguenza le guerre, che accompagnano inevitabilmente lo sviluppo del capitalismo.
D’altra parte, i vantaggi tecnici ed economici della grande produzione fecero sì che le forme produttive precapitalistiche vennero soppiantate e distrutte nel gioco della concorrenza e la concentrazione e la centralizzazione del capitale presero uno sviluppo sempre più grande. Nell’industria la legge della concentrazione e centralizzazione si manifestò innanzi a tutto con la rovina della media produzione o con la riduzione di essa alla funzione di cellula sussidiaria delle grandi aziende. Nel campo dell’economia agricola, la quale si sviluppa più lentamente per l’esistenza del monopolio della terra e della rendita assoluta, questa legge trovò la sua espressione non solo nella differenziazione dei contadini e nella proletarizzazione di grandi strati di essi, ma, soprattutto, nelle forme aperte e nascoste di assoggettamento della piccola economia rurale al dominio del grande capitale, le quali consentirono alla piccola economia di mantenere un’indipendenza apparente solo a prezzo di un’estrema intensificazione del lavoro e di una sistematica riduzione del consumo.
L’impiego crescente delle macchine, il continuo perfezionamento della tecnica e, su queste basi, l’accrescimento ininterrotto della struttura organica del capitale, accompagnati da uno sviluppo della divisione del lavoro e da un aumento del rendimento e della intensità di esso, provocano pure un impiego sempre maggiore di mano d’opera femminile e infantile e la formazione di enormi armate industriali di riserva, di continuo ingrossate dai contadini proletarizzati e cacciati dalle campagne, e dalla piccola e media borghesia di città rovinata. La formazione di un piccolo gruppo di magnati del capitale a un polo della società e di masse gigantesche di proletariato al polo opposto, l’intensificazione continua dello sfruttamento della classe operaia, la riproduzione sopra una scala più larga delle contraddizioni sempre più profonde del capitalismo e delle loro conseguenze (crisi, guerre, ecc.), l’aumento continuo dell’ineguaglianza sociale e dello spirito di rivolta del proletariato, unificato ed educato dal meccanismo stesso della produzione capitalistica, tutto ciò corrode inevitabilmente le basi del capitalismo e avvicina il momento della sua caduta.      
Si è prodotto in pari tempo un rivolgimento profondo nella cultura e nei costumi della società capitalistica. La decomposizione parassitaria dei gruppi di borghesia viventi di rendita; la dissoluzione della famiglia, espressione del contrasto sempre più grande tra la partecipazione in massa delle donne alla produzione sociale e le forme della vita familiare e del costume casalingo, residui, per gran parte, di precedenti epoche economiche; il mostruoso sviluppo dell’urbanesimo e la restrizione della vita di campagna, causati dall’accentuata specializzazione del lavoro; l’imbastardimento e la degenerazione della cultura; l’incapacità della borghesia, nonostante gli enormi progressi delle scienze naturali a dar vita a una sintetica concezione scientifica del mondo, il prevalere delle superstizioni idealistiche, mistiche e religiose, tutti questi sono sintomi dell’avvicinarsi della fine storica del sistema capitalistico.

 

2. L’epoca del capitale finanziario (imperialismo)

Il periodo del capitalismo industriale fu, in sostanza, un periodo di <<libera concorrenza>>, un periodo di evoluzione relativamente regolare e di estensione del capitalismo su tutto il globo terrestre mediante la ripartizione delle colonie ancora libere e l’occupazione di esse con le armi, un periodo durante il quale ininterrottamente si accrebbero le contraddizioni interne del capitalismo, il cui peso ricadde, per lo più, sulla periferia coloniale saccheggiata, oppressa e schiacciata.         
A questo periodo successe, all’inizio del secolo XX, il periodo dell’imperialismo, periodo di sviluppo a salti e attraverso conflitti nel quale la libera concorrenza cedette rapidamente il posto al monopolio, e nel quale, tutte le terre coloniali che prima erano <<libere>> essendo già state distribuite, la lotta per una nuova ripartizione delle colonie e delle sfere di influenza incominciò inevitabilmente ad assumere innanzi tutto la forma di lotta armata.        
Le contraddizioni del capitalismo trovarono quindi la loro espressione più chiara e acquistarono una estensione effettivamente mondiale nell’epoca dell’imperialismo (capitalismo finanziario).L’imperialismo è una nuova forma storica del capitalismo, un nuovo rapporto tra le diverse parti dell’economia capitalistica mondiale e una modificazione delle relazioni che esistono tra le classi fondamentali della società capitalistica.       
Questo nuovo periodo storico risulta dall’azione delle leggi essenziali di sviluppo della società capitalistica. Esso è nato dallo sviluppo del capitalismo industriale, ed è la continuazione storica di esso. 
Esso ha reso più acuta la manifestazione di tutte le tendenze fondamentali e delle leggi secondo cui si evolve il capitalismo, di tutte le contraddizioni e di tutti gli antagonismi che gli sono propri. La legge della concentrazione e della centralizzazione del capitale ha portato alla formazione di potenti unioni monopolistiche (cartelli, sindacati, trust multinazionali), a una nuova forma di gigantesche combinazioni di aziende, legate in un sol fascio dalle banche. La fusione del capitale industriale con il capitale bancario, l’attrazione della grande proprietà agricola nel sistema generale dell’organizzazione capitalistica e il carattere monopolistico di questa forma di capitalismo hanno portato dall’epoca del capitale industriale all’epoca del capitale finanziario. La <<libera concorrenza>> del capitalismo industriale, che aveva preso il posto del monopolio feudale e del monopolio del capitale mercantile, cede il posto a sua volta al monopolio del capitale finanziario. I monopoli capitalistici, sorti dalla libera concorrenza, non la sopprimono però, ma sussistono sopra di essa e accanto ad essa, generando una serie di contraddizioni, di urti e di conflitti particolarmente acuti e gravi. 
L’impiego crescente di macchine complicate, di processi chimici e dell’energia elettrica, il conseguente aumento della struttura organica del capitale e la caduta del saggio del profitto che ne deriva, - e che viene temporaneamente contenuta, solo a favore delle grandi associazioni monopolistiche, mediante la politica di alti prezzi praticata dai cartelli, - provocano una nuova caccia ai sovraprofitti coloniali e la lotta per una nuova ripartizione del mondo. La produzione di massa, standardizzata, esige nuovi mercati esteri di sbocco. La crescente domanda di materie prime e di combustibili produce una lotta accanita per accaparrarsi le fonti di essi. Infine, l’elevata protezione doganale, ostacolando l’esportazione di merci e assicurando un sovrapprofitto al capitale esportato, costituisce uno stimolo supplementare all’esportazione di capitali. L’esportazione di capitale diventa perciò la forma decisiva e specifica dei rapporti economici che si stabiliscono tra le diverse parti dell’economia mondiale capitalistica. In una parola, il possesso monopolistico dei mercati coloniali di sbocco, delle fonti di materie prime e delle zone di investimento di capitali accentua all’estremo la generale ineguaglianza dello sviluppo del capitalismo e aggrava i conflitti tra le <<grandi potenze>> del capitale finanziario per la ripartizione delle colonie e delle sfere di influenza.     
L’accrescimento delle forze produttive dell’economia mondiale conduce, in queste condizioni, a una più grande internazionalizzazione della vita economica e in pari tempo alla lotta per una nuova ripartizione del mondo, il quale già è diviso tra i grandi Stati del capitale finanziario; essa provoca un mutamento, un aggravamento delle forme di questa lotta, una sostituzione sempre più frequente al metodo della concorrenza coi bassi prezzi del metodo della violenza e della compressione (boicottaggio, protezionismo elevato, guerre di tariffe, guerre nel senso proprio della parola, ecc.). La forma monopolistica del capitalismo viene quindi inevitabilmente accompagnata dalle guerre imperialistiche, che, per la loro estensione e per il potere sterminatore della loro tecnica, non hanno esempio nella storia del mondo.


3. Le forze dell’imperialismo e le forze della rivoluzione

La forma imperialistica del capitalismo, rendendo palese la tendenza all’unione delle differenti frazioni della classe dominante, non oppone le grandi masse del proletariato a un singolo imprenditore, ma le oppone in misura sempre più grande a tutta la classe dei capitalisti nel suo complesso e al suo potere di Stato. D’altra parte questa forma di capitalismo spezza le frontiere degli Stati nazionali, diventate troppo strette, ed allarga i quadri del potere capitalistico delle grandi potenze predominanti, contrapponendo a questo potere i milioni di uomini dei popoli oppressi, sia nelle cosiddette piccole nazioni, sia nelle colonie. Questa forma di capitalismo, infine, oppone con un ritmo sempre più celere gli Stati imperialistici l’uno all’altro.
In questa situazione, acquista per la borghesia una particolare importanza il potere dello Stato, che diventa la dittatura dell’oligarchia finanziario-capitalistica, l’espressione della sua potenza concentrata. Le funzioni di questo Stato imperialista plurinazionale si estendono in tutte le direzioni. Lo sviluppo di forme di capitalismo di Stato, le quali agevolano la lotta sui mercati esteri (mobilitazione economica a scopi di guerra) e la lotta contro la classe operaia, l’accrescimento realmente mostruoso del militarismo (esercito, flotta navale e aerea, applicazioni della chimica e della batteriologia), la pressione crescente dello Stato imperialista sopra la classe operaia (maggiore sfruttamento e pressione diretta, da una parte, sistematica politica di corruzione della burocrazia riformista, dall’altra), tutti questi fatti sono l’espressione di un enorme aumento del peso specifico del potere dello Stato. In questa situazione ogni azione più o meno importante del proletariato diventa un’azione contro il potere dello Stato, cioè diventa un’azione politica.     
Così lo sviluppo del capitalismo e in special modo la fase imperialistica di questo sviluppo riproducono le contraddizioni fondamentali del capitalismo in misura sempre più grandiosa. La concorrenza tra i piccoli capitalisti cessa soltanto per rinascere come concorrenza tra grandi capitalisti; là dove si attenua la concorrenza tra i grandi capitalisti, si scatena la concorrenza tra le gigantesche unioni di magnati del capitale e tra i loro Stati; le crisi, che prima erano locali e nazionali, diventano crisi le quali scuotono una serie di paesi e poi crisi mondiali; le guerre di carattere locale cedono il posto alle guerre di coalizione e alle guerre mondiali, la lotta di classe passa dalle azioni isolate di gruppi separati di operai alle lotte nazionali e internazionali del proletariato mondiale contro la borghesia mondiale. Infine, contro le forze potentemente organizzate del capitale finanziario si organizzano due grandi forze rivoluzionarie: da un lato, gli operai dei paesi capitalistici, dall’altro le masse popolari delle colonie oppresse dal giogo del capitale straniero, le quali marciano sotto la guida e sotto l’egemonia del movimento rivoluzionario internazionale.   
Questa tendenza rivoluzionaria fondamentale è però temporaneamente paralizzata dalla corruzione di alcuni elementi del proletariato dell’Europa, dell’America settentrionale e del Giappone da parte della borghesia imperialista e dal tradimento della borghesia nazionale dei paesi coloniali e semicoloniali, spaventata dal movimento rivoluzionario delle masse. La borghesia delle potenze imperialistiche, la quale riceve un sovraprofitto supplementare, sia in ragione della sua posizione sul mercato mondiale in generale (tecnica più sviluppata, esportazione di capitali in paesi nei quali la quota del profitto è più alta, ecc.), sia in ragione del saccheggio che essa compie delle colonie e delle semicolonie, è riuscita, mediante questo sovraprofitto, ad aumentare il salario di una parte dei <<suoi>> operai, interessandoli così allo sviluppo dell’economia della loro <<patria>> e al saccheggio delle colonie, rendendoli devoti allo Stato imperialista. Questa corruzione sistematica fu ed è praticata con particolare ampiezza nei più potenti paesi imperialistici, e trova la sua manifestazione più chiara nell’ideologia e nella pratica dell’aristocrazia operaia e negli strati burocratizzati della classe operaia, cioè nei quadri dirigenti della socialdemocrazia e dei sindacati, diventati veicoli diretti dell’influenza borghese sul proletariato e i migliori sostegni del regime capitalistico. 
Ma, dopo avere formato una aristocrazia operaia corrotta, l’imperialismo alla fine distrugge l’influenza di essa sopra la classe operaia, perchè l’approfondimento delle contraddizioni del regime capitalistico, il peggioramento delle condizioni di esistenza delle grandi masse operaie e la disoccupazione di massa del proletariato, l’enorme sperpero provocato dai conflitti guerreschi e il carico di essi, la perdita da parte di alcune potenze della propria posizione di monopolio sul mercato mondiale, la separazione delle colonie, ecc., minano le basi del socialimperialismo tra le masse.     
In egual modo, la corruzione sistematica di alcuni strati della borghesia delle colonie e delle semicolonie, il tradimento che essa compie del movimento nazionale-rivoluzionario e l’avvicinamento di essa alle potenze imperialistiche paralizzano solo temporaneamente lo sviluppo della crisi rivoluzionaria. In ultima istanza questi fatti hanno come conseguenza un rafforzamento dell’oppressione imperialista, un decadimento dell’influenza della borghesia nazionale sulle masse popolari, un aggravamento della crisi rivoluzionaria, lo scatenamento della rivoluzione agraria delle grandi masse di contadini e la creazione delle condizioni per l’egemonia del proletariato, nei paesi coloniali e dipendenti, la lotta delle masse popolari per l’indipendenza e per la completa liberazione nazionale.

 

4. L’imperialismo e la catastrofe del capitalismo

L’imperialismo ha sviluppato sino al più alto grado le forze produttive del capitalismo mondiale. Esso ha condotto a termine la preparazione di tutte le condizioni materiali per l’organizzazione socialista della società. Con le sue guerre esso dimostra che le forze produttive dell’economia mondiale, superati i limiti ristretti degli Stati imperialistici, esigono un’organizzazione dell’economia sopra una scala internazionale, mondiale. L’imperialismo si sforza di risolvere questa contraddizione aprendo la strada col ferro e col fuoco a un unico trust mondiale del capitalismo di Stato, il quale organizzi l’economia del mondo intero. Questa cruenta utopia viene celebrata dagli ideologi socialdemocratici come metodo pacifico di un nuovo capitalismo <<organizzato>>. Nella realtà questa utopia urta contro insormontabili ostacoli oggettivi, di tale ampiezza che il capitalismo inevitabilmente deve cadere sotto il peso delle sue proprie contraddizioni. La legge dello sviluppo ineguale del capitalismo, accentuatasi nell’epoca dell’imperialismo, rende impossibili le permanenti e solide unioni internazionali delle potenze imperialistiche. Dall’altra parte le guerre imperialistiche, che si trasformano in guerre mondiali, e attraverso alle quali la legge della centralizzazione del capitale si sforza di giungere sino al limite estremo, di un unico trust mondiale, sono accompagnate da tali devastazioni, fanno cadere tali pesi sulle spalle della classe operaia, di milioni di proletari delle colonie e dei contadini, che il capitalismo deve cadere in modo inevitabile sotto i colpi della rivoluzione proletaria, molto prima di aver raggiunto lo scopo che esso si propone.        
L’imperialismo, il quale è la fase più alta dell’evoluzione del capitalismo, il quale sviluppa in modo formidabile le forze produttive dell’economia mondiale e trasforma tutto il mondo a sua immagine e somiglianza, trascina nella via dello sfruttamento finanziario-capitalistico tutte e colonie, tutte le razze e tutti i popoli. Ma la forma monopolistica del capitale sviluppa in pari tempo in misura sempre crescente gli elementi di degenerazione parassitaria, di putrefazione e di decadenza del capitalismo. Eliminando in una certa misura la forza motrice della concorrenza, facendo una politica di alti prezzi di monopolio e disponendo illimitatamente del mercato, il,capitale monopolistico ha la tendenza a frenare l’ulteriore sviluppo delle forze produttive. Spremendo enormi sovraprofitti da milioni di operai e di contadini delle colonie, accumulando in seguito a questo sfruttamento redditi enormi, l’imperialismo dà vita a un tipo di Stato che vive di rendita, di Stato in via di putrefazione e di degenerazione parassitaria, e crea intieri strati di parassiti, i quali vivono tagliando delle cedole. Portando a termine il processo di creazione delle basi materiali del socialismo (concentrazione dei mezzi di produzione, gigantesca socializzazione del lavoro, sviluppo delle organizzazioni operaie) l’epoca dell’imperialismo acutizza le contraddizioni tra le <<grandi potenze>> e genera delle guerre le quali portano alla disgregazione dell’economia mondiale. L’imperialismo è perciò il capitalismo in putrefazione e morente. Esso è l’ultima tappa dell’evoluzione capitalistica in generale. Esso è la vigilia della rivoluzione socialista mondiale. 
La rivoluzione proletaria internazionale discende quindi dalle condizioni dello sviluppo del capitalismo in generale e della sua fase imperialistica in particolare. Il sistema capitalistico nel suo complesso si avvia alla catastrofe definitiva. La dittatura del capitale finanziario perisce, lasciando posto alla dittatura del proletariato.

 

  • La crisi generale del capitalismo e la prima fase della rivoluzione mondiale

 

1. La guerra mondiale e il corso della crisi rivoluzionaria

La lotta imperialistica tra i più grandi Stati del capitale per una nuova ripartizione del mondo condusse alla prima guerra imperialistica mondiale (1914-1918).        
Questa guerra scosse tutto il sistema del capitalismo mondiale e diede inizio al periodo della crisi generale di esso. Essa pose al proprio servizio tutta l’economia nazionale dei paesi belligeranti, creò il pugno di ferro del capitalismo di Stato, elevò ad altezze colossali le spese improduttive, distrusse una quantità enorme di mezzi di produzione e di vivente forza di lavoro, ridusse alla rovina grandi masse popolari, impose pesi incalcolabili agli operai della industria, ai contadini, ai popoli delle colonie. Essa acutizzo fatalmente la lotta di classe, che si trasformò in attacco rivoluzionario aperto delle masse e in guerra civile. Il fronte imperialistico venne spezzato nel suo punto più debole, la Russia degli zar. La rivoluzione di febbraio dell’anno 1917 abbatté il potere dell’autocrazia feudale. La rivoluzione di ottobre rovesciò il potere della borghesia. Questa rivoluzione proletaria vittoriosa espropriò gli espropriatori, strappò alla borghesia e ai grandi proprietari di terre i mezzi di produzione, per la prima volta nella storia dell’umanità instaurò e consolidò in un enorme paese la dittatura del proletariato, dando vita a un nuovo tipo di Stato, allo Stato sovietico, e segnando l’inizio della rivoluzione internazionale del proletariato.  
In seguito al potente sconvolgimento subìto da tutto il capitalismo mondiale e in seguito all’acutizzazione della lotta di classe, sotto la diretta influenza della rivoluzione proletaria di ottobre, si produsse una serie di rivoluzioni e di movimenti rivoluzionari tanto sul continente europeo, quanto nei paesi coloniali e semicoloniali: nel gennaio dell’anno 1918 la rivoluzione operaia in Finlandia, nell’agosto del 1918 le <<rivolte del riso>> nel Giappone, nel novembre 1918 le rivoluzioni d’Austria e di Germania, che abbatterono il regime delle monarchie semifeudali, nel marzo 1919 la rivoluzione proletaria in Ungheria e l’insurrezione della Corea, nell’aprile 1919 il potere dei soviet in Baviera, nel gennaio dell’anno 1920 la rivoluzione nazionale-borghese in Turchia, nel settembre dell’anno 1920 l’occupazione delle fabbriche da parte degli operai in Italia, nel marzo dell’anno 1921 l’insurrezione degli operai di avanguardia in Germania, nel settembre dell’anno 1923 l’insurrezione della Bulgaria, nell’autunno dell’anno 1923 la crisi rivoluzionaria in Germania, nel dicembre dell’anno 1924 l’insurrezione dell’Estonia, nell’aprile dell’anno 1925 la rivolta del Marocco, nell’agosto quella della Siria, nel maggio dell’anno 1926 lo sciopero generale in Inghilterra, nel luglio del 1927 l’insurrezione degli operai di Vienna. Tutti questi fatti, e altri fatti ancora, come l’insurrezione dell’Indonesia, il profondo fermento nell’India e la grande rivoluzione cinese, la quale ha scosso tutto il continente asiatico, sono anelli di una catena rivoluzionaria internazionale, sono parti integranti della profondissima crisi generale del capitalismo. Questo processo rivoluzionario internazionale comprende la lotta diretta per la dittatura del proletariato, guerre di liberazione nazionale, e le insurrezioni delle colonie contro l’imperialismo, queste ultime indissolubilmente legate con il movimento di masse di milioni di contadini. Enormi masse umane in questo modo sono state trascinate nel torrente della rivoluzione. La storia mondiale è entrata in una nuova fase del suo sviluppo, nella fase della crisi generale permanente del sistema capitalistico. L’unità dell’economia mondiale ha trovato una rispondenza nel carattere internazionale della rivoluzione, e l’ineguaglianza nello sviluppo delle sue singole parti nella mancanza di contemporaneità della rivoluzione nei diversi paesi. 
I primi tentativi di rivolgimento rivoluzionario, sorti in seguito all’acuta crisi del capitalismo (1918-1921), terminarono nell’URSS con la vittoria e con l’instaurazione della dittatura del proletariato e, in una serie di altri paesi, con la sconfitta del proletariato. Queste sconfitte sono state innanzi tutto il risultato della tattica di tradimento dei capi socialdemocratici e dei dirigenti riformisti del movimento sindacale, ma sono pure il risultato della circostanza che la maggioranza della classe operaia non era ancora per i comunisti e in una serie di paesi assai importanti non esistevano nemmeno, in generale, dei partiti comunisti. In seguito a queste sconfitte, le quali resero possibile intensificare lo sfruttamento delle masse del proletariato e dei popoli delle colonie, e in seguito al rapido abbassamento del tenore di vita di queste masse, la borghesia riuscì a raggiungere una parziale stabilizzazione del regime capitalistico.


2. Crisi rivoluzionaria e socialdemocrazia controrivoluzionaria

Nel corso della rivoluzione internazionale ebbero una particolare importanza, come possenti forze controrivoluzionarie, che lottarono attivamente contro la rivoluzione e dettero un sostegno attivo alla parziale stabilizzazione del capitale, i quadri dirigenti dei partiti socialdemocratici e dei sindacati riformisti, e, d’altra parte, le organizzazioni capitalistiche di tipo fascista.    
La crisi bellica degli anni 1914-1918 fu accompagnata dal fallimento ignominioso della Seconda Internazionale, dell’Internazionale socialdemocratica. In piena contraddizione con le risoluzioni contro la guerra dei congressi di Stoccarda e di Basilea, i capi dei partiti socialdemocratici dei singoli paesi, fatte alcune eccezioni isolate, votarono per i crediti di guerra, si pronunciarono recisamente per la difesa delle <<patrie>> imperialiste (cioè delle organizzazioni statali della borghesia imperialistica), e, anzichè lottare contro la guerra imperialistica, ne furono combattenti leali, propagandisti e capi (socialpatriottismo sviluppatosi in socialimperialismo). Nel periodo successivo la socialdemocrazia approvò i trattati spogliatori (Brest, Versailles), operò come forza attiva a lato dei generali nelle sanguinose repressioni delle rivoluzioni proletarie (Noske), condusse una lotta armata contro la prima repubblica proletaria (Russia sovietica), tradì con perfidia il proletariato al potere (Ungheria), entrò nell’imperialistica Società delle Nazioni (Thomas, Paul-Boncour, Vandervelde), si pose apertamente dalla parte degli schiavisti imperialisti contro gli schiavi delle colonie (Labour Party), diede un sostegno attivo ai più reazionari carnefici della classe operaia (Polonia, Ungheria), prese su di sè l’iniziativa delle <<leggi di guerra>> imperialistiche (Francia), tradì il grande sciopero generale del proletariato inglese, aiutò a soffocare lo sciopero dei minatori, aiutò ed aiuta a strozzare la Cina e l’India (governo di Mac Donald), è diventata propagandista dell’imperialistica Lega delle Nazioni, araldo del capitale e forza organizzatrice della lotta contro la dittatura del proletariato nell’URSS (Kautsky, Hilferding).        
Conducendo in modo sistematico questa politica controrivoluzionaria, la socialdemocrazia opera con le due ali: la destra, che è apertamente controrivoluzionaria, e serve per i contatti e per i legami diretti con la borghesia, e la sinistra, che serve ad ingannare gli operai in modo raffinato. La <<sinistra>> socialdemocratica, la quale adopera talora la fraseologia pacifista, e talora quella rivoluzionaria, di fatto agisce contro gli operai, e particolarmente nei momenti più critici (<<indipendenti>> inglesi e capi di <<sinistra>> del Consiglio generale durante lo sciopero generale del 1926, Otto Bauer e C. durante la rivolta di Vienna, ecc.). Essa è perciò la frazione più pericolosa dei partiti socialdemocratici. La socialdemocrazia, mentre serve gli interessi della borghesia in seno alla classe operaia e si pone senza riserve sul terreno della collaborazione di classe e della coalizione con la borghesia, è costretta in determinati momenti a presentarsi come partito di opposizione e persino a simulare una difesa degli interessi di classe del proletariato nella sua lotta economica, allo scopo di conquistare in questo modo la fiducia di parti della classe operaia per poter tradire più vergognosamente gli interessi permanenti del proletariato nei combattimenti di classe decisivi.   
La funzione essenziale della socialdemocrazia consiste oggi nel distruggere la necessaria unità combattiva del proletariato nella sua lotta contro l’imperialismo. Spezzando e disgregando il fronte unico della lotta proletaria contro il capitale, la socialdemocrazia è il principale sostegno dell’imperialismo in seno alla classe operaia. La socialdemocrazia internazionale di tutte le sfumature, la Seconda Internazionale e la sua succursale sindacale, la Federazione sindacale di Amsterdam sono quindi diventate una riserva della società borghese, il sostegno più sicuro di essa.


3. La crisi del capitalismo e il fascismo

Accanto alla socialdemocrazia, con l’aiuto della quale la borghesia opprime gli operai e addormenta la loro vigilanza di classe, si presenta il fascismo.
L’epoca dell’imperialismo, l’acutizzazione della lotta di classe e l’accrescimento, particolarmente dopo la guerra imperialista mondiale, degli elementi di guerra civile, hanno portato alla bancarotta del parlamentarismo. Di qui <<nuovi>> metodi e forme di governo (ad esempio, sistema dei gabinetti ristretti, costituzione di gruppi oligarchici che operano tra le quinte, decadenza e falsificazione della funzione della <<rappresentanza popolare>>, restrizione e soppressione delle <<libertà democratiche>>, ecc.). Questo processo dell’offensiva della reazione borghese imperialista assume, in condizioni storiche particolari, la forma di fascismo. Tali condizioni sono: l’instabilità dei rapporti capitalistici, l’esistenza di considerevoli elementi sociali spostati, l’impoverimento di larghi strati di piccola borghesia urbana e di intellettuali, il malcontento della piccola borghesia rurale e, infine, la permanente minaccia di offensive di massa del proletariato. Allo scopo di garantire una maggiore stabilità, consistenza e durata del proprio potere, la borghesia di più in più è costretta a passare dal sistema parlamentare al metodo fascista, il quale è indipendente dai rapporti e dalle combinazioni tra partiti. Questo metodo è un metodo di dittatura immediata, il quale si maschera con l’ideologia della <<nazione superiore a tutto>> e della rappresentanza delle <<professioni>> (che non è niente altro, di fatto, che un diverso aggruppamento della classi dominanti), è un metodo di utilizzazione del malcontento di masse piccolo-borghesi, intellettuali, ecc., mediante una particolare demagogia sociale (antisemitismo, attacchi parziali contro il capitale usurario, sdegno delle <<chiacchiere>> parlamentari), un metodo per formare una vasta gerarchia retribuita di centurie fasciste, un apparato di partito e di funzionari. Il fascismo si sforza pure di penetrare nell’ambiente operaio, e recluta gli strati operai più arretrati, utilizzando il malcontento di essi per la passività socialdemocratica, ecc. Scopo principale del fascismo è la dispersione dell’avanguardia operaia rivoluzionaria, degli strati comunisti del proletariato e dei loro quadri. L’unione di una demagogia sociale, della corruzione e dell’attivo terrore bianco ad una estrema aggressività imperialistica nel campo della politica estera è il lineamento caratteristico del fascismo. Dopo avere impiegato, nei momenti particolarmente critici per la borghesia, una fraseologia anticapitalistica, giunto a consolidarsi al potere dello Stato, il fascismo si svela sempre più come dittatura terroristica del grande capitale, abbandonando per via la maschera anticapitalistica.        
A seconda dei mutamenti della situazione politica, la borghesia si serve dei metodi del fascismo e dei metodi della coalizione con la socialdemocrazia, e la socialdemocrazia stessa, nei momenti più critici per il capitalismo, non di rado assume le funzioni del fascismo. Nel corso del suo sviluppo essa manifesta delle tendenze fasciste, il che non le impedisce, cambiando la situazione politica, di fronteggiare contro il governo borghese come partito di opposizione. Il metodo fascista e il metodo della coalizione con la socialdemocrazia, non essendo metodi propri del <<capitalismo normale>>, sono indizi della crisi generale del capitalismo e vengono impiegati dalla borghesia per ritardare il corso progressivo della rivoluzione.


4. Le contraddizioni della stabilizzazione capitalista e l’inevitabilità della catastrofe rivoluzionaria del capitalismo

L’esperienza di tutto il periodo storico successivo alla guerra dimostra che la stabilizzazione del capitalismo ottenuta mediante l’oppressione della classe operaia e una pressione sistematica esercitata sul suo tenore di vita, non può essere che parziale, transitoria, putrida.   
Lo sviluppo saltuario e febbrile della tecnica, che in alcuni paesi tende a prendere gli aspetti di una nuova rivoluzione tecnica, il processo accelerato di concentrazione e di centralizzazione del capitale, la formazione di giganteschi trust, di monopoli <<nazionali>> e <<internazionali>>, la compenetrazione dei trust con l’apparato dello Stato e lo sviluppo dell’ economia capitalistica mondiale non riescono, però, a superare la crisi generale del sistema capitalistico. La rottura dell’economia mondiale in un settore capitalistico e un settore socialista, la restrizione dei mercati e il movimento antimperialistico nelle colonie rendono estremamente acute tutte le contraddizioni del capitalismo, che si sviluppa sopra una nuova base, sopra la base del dopoguerra. Lo stesso progresso tecnico e la razionalizzazione della produzione hanno il loro rovescio nella chiusura e nella liquidazione di molte aziende, nella limitazione della produzione, nello sfruttamento spietato e rapace della forza lavoro, provocano una disoccupazione enorme, cronica, mai vista prima d’ora. Il peggioramento assoluto della situazione della classe operaia diventa un fatto evidente anche in una serie di paesi capitalistici sviluppati. L’aumento della concorrenza tra i paesi imperialistici, la minaccia permanente di guerra e la tensione crescente dei contrasti sociali creano le condizioni di una nuova tappa, di una tappa ancora più elevata nello sviluppo della crisi generale del capitalismo e della rivoluzione proletaria mondiale.
Come risultato del primo ciclo di guerre imperialistiche (guerra mondiale degli anni 1914-1918) e della vittoria d’Ottobre della classe operaia nell’antico impero dello zar russo, l’economia mondiale si è spezzata in due campi che sono avversi l’uno all’altro per principio: il campo degli Stati imperialistici e la dittatura del proletariato. nell’URSS. Differenza di struttura sociale, differenza della natura di classe del potere, differenza essenziale negli scopi della politica interna ed esterna, economica e culturale, indirizzo essenzialmente differente di tutta l’evoluzione contrappongono in modo acuto il mondo capitalistico allo Stato del proletariato vittorioso. Nei quadri dell’economia mondiale che un tempo era unita, lottano ora due sistemi antagonisti: il sistema del capitalismo e il sistema del socialismo. La lotta di classe, la quale si era svolta sino ad ora nelle forme del periodo in cui il proletariato non ha ancora un suo potere di Stato, si riproduce sopra una scala enorme, realmente mondiale, oggi che la classe operaia del mondo intiero già possiede un suo Stato, sola patria del proletariato internazionale. L’esistenza dell’Unione Sovietica con la sua influenza mondiale sopra gli operai e sopra i popoli oppressi è di per sè la più chiara espressione della profondissima crisi del sistema capitalistico mondiale e di una estensione e di un approfondimento della lotta di classe che ancora non erano esistiti nella storia. 
Il mondo capitalistico, non essendo in grado di dominare le sue contraddizioni interne, tenta di creare un’associazione internazionale (Lega delle Nazioni) con lo scopo principale di arrestare lo sviluppo irresistibile della crisi rivoluzionaria, di soffocare con il blocco e con la guerra l’Unione delle repubbliche proletarie. In pari tempo si raccolgono attorno all’URSS tutte le forze del proletariato rivoluzionario e delle masse coloniali oppresse: alla coalizione mondiale del capitale, priva di solidità, minata da contrasti interni, ma armata sino ai denti, si contrappone un’unica coalizione mondiale del lavoro. Come risultato del primo ciclo di guerre imperialistiche è sorta una nuova contraddizione di natura essenziale, che ha una portata e un valore storico mondiali: la contraddizione tra l’URSS e il mondo capitalistico.  
D’altra parte, sono diventati più profondi anche i contrasti entro il settore capitalistico dell’economia mondiale. Lo spostamento del centro economico del mondo negli Stati Uniti d’America e la trasformazione della <<repubblica del dollaro>> in sfruttatrice del mondo intiero, hanno reso più acuti i rapporti tra gli Stati Uniti e il capitalismo europeo, in particolare quello della Gran Bretagna. Il conflitto tra la Gran Bretagna, il più potente dei vecchi paesi imperialistici conservatori, e gli Stati Uniti, il grande paese di un giovane imperialismo che già si è conquistata una egemonia mondiale, è il germe di conflitti mondiali tra gli Stati del capitale finanziario. La Germania, spogliata dalla pace di Versailles, risollevatasi economicamente, e postasi di nuovo sulla strada di una politica imperialista, incomincia nuovamente ad agire come un serio concorrente sul mercato mondiale. Attraverso il Pacifico si intreccia un nodo di contraddizioni, di cui la radice essenziale è il conflitto americano-giapponese. Accanto a questi antagonismi fondamentali esistono poi dei contrasti di interessi tra gruppi mutevoli e instabili di potenze, nei quali gli Stati di secondo ordine servono come strumento ausiliario nelle mani dei giganti imperialisti e delle loro coalizioni.   
L’accrescimento della capacità di produzione dell’apparato industriale del capitalismo mondiale, che si produce mentre si sono ristretti, in conseguenza della guerra, i mercati interni dell’Europa, mentre l’Unione Sovietica è uscita dalla sfera dello scambio puramente capitalistico, mentre le fonti più importanti di materie prime e di combustibili sono oggetto di un monopolio sempre più ristretto, ha come conseguenza di sviluppare i conflitti tra gli Stati capitalistici. La lotta <<pacifica>> per il petrolio, il caucciù, il cotone, il carbone, i metalli, per una nuova divisione dei mercati e delle zone di investimento dei capitali, porta inevitabilmente a una nuova guerra mondiale, tanto più micidiale, quanto più grandi sono i progressi che compie, sviluppandosi pazzamente, la tecnica di guerra. [E’ la prevista seconda guerra mondiale, come oggi prevediamo la terza, che potrà essere la fine della tragedia del capitalismo e dell’imperialismo nella storia dell’umanità]   
In pari tempo crescono le contraddizioni tra le metropoli e i paesi coloniali e semicoloniali. L’indebolimento dell’imperialismo europeo che si è prodotto in seguito alla guerra, lo sviluppo del capitalismo nelle colonie, l’influenza della rivoluzione sovietica, le tendenze centrifughe in seno alla più grande potenza marittima e coloniale, la Gran Bretagna (Canada, Australia, Sud Africa), hanno facilitato lo scatenamento di insurrezioni nelle colonie e semicolonie. La grande rivoluzione cinese, la quale pose in movimento un popolo di centinaia di milioni, è una breccia enorme apertasi in tutto il sistema dell'’imperialismo. Il continuo fermento rivoluzionario tra centinaia di milioni di operai e di contadini dell’India minaccia di abbattere la signoria di una cittadella mondiale dell’imperialismo, la Gran Bretagna. L’aumento nei paesi dell’America latina delle tendenze ostili al possente imperialismo degli Stati Uniti è una forza che mina l’espansione del capitale nordamericano. Il processo rivoluzionario delle colonie, che coinvolge nella lotta contro l’imperialismo l’enorme maggioranza della popolazione terrestre, oppressa dall’oligarchia finanziario-capitalistica di alcune <<grandi potenze>> imperialiste, è dunque egualmente l’espressione di una profonda crisi generale del sistema capitalistico. Anche nell’Europa però, dove l’imperialismo tiene sotto il suo pesante tallone una serie di piccole nazioni, la questione nazionale è un fattore che contribuisce ad acutizzare le contraddizioni interne del capitalismo.        
Infine, la crisi rivoluzionaria matura inevitabilmente negli stessi centri dell’imperialismo: l’offensiva della borghesia contro la classe operaia, contro il suo livello di esistenza, le sue organizzazioni e i suoi diritti politici, e l’aumento del terrore bianco provocano una crescente resistenza da parte delle grandi masse del proletariato e un’accentuazione della lotta tra la classe operaia e il capitale trustificato.     
Le lotte grandiose del lavoro contro il capitale, il processo crescente di radicalizzazione delle masse, l’aumento dell’influenza e dell’autorità dei partiti comunisti, l’enorme aumento delle simpatie delle più grandi masse operaie per il paese della dittatura proletaria, tutto ciò indica chiaramente l’avvicinarsi di una nuova ondata rivoluzionaria dei centri dell’imperialismo.  
Il sistema dell’imperialismo mondiale, dunque, e, insieme con esso, la parziale stabilizzazione del capitalismo, vengono corrosi da diverse parti: dalle contraddizioni e dai conflitti tra le diverse potenze imperialistiche, dal risveglio alla lotta delle masse di milioni di lavoratori delle colonie, dal proletariato rivoluzionario delle metropoli, e, infine, dalla guida di tutto il movimento rivoluzionario mondiale, la dittatura proletaria dell’URSS: La rivoluzione proletaria è in marcia.        
Contro di essa raccoglie le sue forze l’imperialismo. Le spedizioni contro le colonie, una nuova guerra mondiale, l’attacco all’URSS, sono per l’imperialismo all’ordine del giorno. Ciò porta inevitabilmente allo scatenamento di tutte le forze della rivoluzione internazionale e alla immancabile rovina del capitalismo.

 

  • Il fine ultimo dell’Internazionale comunista, il comunismo mondiale

 

Il fine ultimo al quale tende l’Internazionale comunista è di sostituire all’economia capitalistica mondiale il sistema mondiale del comunismo. La società comunista, preparata da tutto il corso dello sviluppo storico, è la sola via di uscita che esista per l’umanità, perchè essa soltanto distrugge le contraddizioni del sistema capitalistico, che minacciano di portare l’umanità alla degenerazione e alla rovina.         
La società comunista sopprimerà la divisione della società in classi perchè, ponendo fine all’anarchia della produzione, porrà fine a ogni specie e a ogni forma di sfruttamento e di oppressione dell’uomo da parte dell’uomo. In luogo di classi di lotta, vi saranno i membri di una sola comunità mondiale del lavoro. Per la prima volta nella storia l’umanità prenderà nelle proprie mani i propri destini. Invece di disperdere nelle lotte tra le classi e tra i popoli innumerevoli vite umane e ricchezze infinite, l’umanità concentrerà tutte le sue energie nella lotta contro le forze della natura, nello sviluppo e nell’elevazione della sua propria potenza collettiva.
Sopprimendo la proprietà privata dei mezzi di produzione, trasformandoli in proprietà comune, il sistema mondiale del comunismo sostituirà alla forza elementare del mercato mondiale e della concorrenza, al cieco sviluppo della produzione sociale l’organizzazione cosciente di essa secondo un piano, diretto al soddisfacimento dei bisogni collettivi in rapido sviluppo. Ponendo fine all’anarchia della produzione e alla concorrenza, si porrà fine anche alle crisi devastatrici e alle guerre anche più devastatrici. Al colossale sperpero delle forze produttive e allo sviluppo convulsivo della società si sostituirà la distribuzione secondo un piano di tutte le sue risorse materiali e uno sviluppo economico indolore sulla base di un aumento illimitato e rapido delle forze produttive.      
La soppressione della proprietà privata e la sparizione delle classi porranno fine allo sfruttamento degli uni da parte degli altri. Il lavoro cesserà di essere compiuto a profitto di un nemico di classe, esso cesserà di essere soltanto un mezzo per vivere e diventerà un’esigenza primordiale e vitale; sparirà la povertà; spariranno la disuguaglianza economica tra le genti, la miseria delle classi asservite, il miserabile livello materiale di esistenza in generale; sparirà la gerarchia degli uomini nella divisione del lavoro, e con essa sparirà il contrasto tra il lavoro intellettuale e il lavoro fisico; spariranno infine tutte le conseguenze della disuguaglianza sociale dei sessi. In pari tempo spariranno anche gli organi del dominio di classe e, innanzi tutto, il potere dello Stato. Questo potere, essendo incarnazione di un dominio di classe, sparirà insieme con la scomparsa delle classi. Con esso scomparirà ogni e qualsiasi forma di costrizione.  
La sparizione delle classi è accompagnata dalla soppressione di ogni monopolio dell’istruzione. La cultura diventa patrimonio comune e le antiche ideologie di classe cedono il posto a una concezione scientifica materialistica del mondo. In queste condizioni diventa impossibile ogni signoria di un gruppo di uomini sugli altri, e si apre un campo enorme per la selezione collettiva e per lo sviluppo armonico di tutte le capacità di cui l’umanità è dotata.        
Allo sviluppo delle forze produttive non si oppone ora più nessun limite di carattere sociale. Nè la proprietà privata dei mezzi di produzione, nè gli interessati calcoli del profitto, nè l’ignoranza delle masse mantenuta ad arte, nè la povertà di esse, la quale ostacola il progresso tecnico nella società capitalistica, nè le enormi spese improduttive più non esistono nella società comunista. L’utilizzazione più razionale delle forze della natura e delle condizioni naturali della produzione nelle diverse parti del mondo, la sparizione del contrasto tra la città e la campagna, contrasto il quale dipende dall’arretratezza sistematica dell’economia agraria e dal basso livello della sua tecnica, l’unione più stretta tra la scienza e la tecnica, tra la ricerca scientifica e l’applicazione pratica di essa sopra la più vasta scala sociale, l’organizzazione secondo un piano dello stesso lavoro scientifico, l’impiego dei metodi più perfezionati di calcolo statistico e di regolarizzazione della economia secondo un piano, e le potentissime molle interne di tutto il sistema, cioè i bisogni collettivi in rapido sviluppo, tutto ciò assicura un massimo di produttività al lavoro e rende libera, di conseguenza, l’energia umana per un potente sviluppo dell’arte e della scienza.     
Lo sviluppo delle forze produttive della società comunista mondiale rende possibile un aumento del benessere di tutta la massa umana, una riduzione al minimo del tempo che essa dedica alla produzione materiale e provoca, di conseguenza, uno sviluppo della civiltà non mai veduto nella storia. Questa nuova civiltà dell’umanità che per la prima volta si sarà unita, superando ogni e qualsiasi confine di Stato, al contrario di ciò che avviene nel capitalismo, sarà fondata sopra chiari e limpidi rapporti tra gli uomini. Perciò essa seppellirà per sempre ogni mistica, ogni religione, pregiudizio e superstizione e darà l’impulso più potente allo svolgimento della conoscenza scientifica trionfale di tutto.
Questo stadio superiore del comunismo, in cui la società comunista già si sarà sviluppata sulla propria base, in cui insieme con lo sviluppo armonico degli uomini si svilupperanno in misura enorme anche le forze produttive sociali, in cui la società avrà già scritto sulla bandiera: <<Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni !>>, presuppone, come sua condizione storica preliminare, uno stadio di sviluppo più basso, lo stadio del socialismo. In questo stadio la società comunista, uscita appena dalla società capitalistica, è coperta sotto tutti i rapporti, - economici, di costume e di pensiero, - dalle tare di origine della vecchia società, dai fianchi della quale essa nasce. Le forze produttive del socialismo non sono ancora sufficientemente sviluppate per garantire una ripartizione dei prodotti del lavoro secondo i bisogni, e i prodotti vengono quindi ripartiti secondo il lavoro. La divisione del lavoro, cioè l’attribuzione di determinate funzioni lavorative a determinati gruppi di uomini, non è ancora soppressa, e in parte non è ancora eliminato il contrasto fondamentale tra il lavoro fisico e il lavoro intellettuale. In particolare, malgrado la sparizione delle classi, esistono ancora residui della vecchia divisione della società in classi e residui, quindi, del potere di Stato del proletariato, della costrizione, del diritto. Sussistono quindi tracce di ineguaglianza che ancora non sono potute sparire. Non è ancora stata soppressa nè è sparita del tutto l’opposizione tra la città e la campagna. Ma tutti questi residui della vecchia società non sono nè difesi nè protetti da nessuna forza sociale. Essendo legati a un determinato grado di sviluppo delle forze produttive, essi scompaiono nella misura in cui l’umanità, liberata dalle catene della società capitalistica, assoggetta a sè rapidamente le forze della natura, rieduca sè stessa nello spirito del comunismo e passa dal socialismo al comunismo integrale.

 

  • Il periodo di transizione dal capitalismo al socialismo e la dittatura del proletariato

 

1. Il periodo di transizione e la conquista del potere da parte del proletariato

Tra la società capitalistica e la società comunista sta il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico transitorio, nel quale lo Stato non può essere niente altro che una dittatura rivoluzionaria del proletariato. Il passaggio dalla dittatura mondiale dell’imperialismo alla dittatura mondiale del proletariato comprende un lungo periodo di lotte del proletariato, di sconfitte e di vittorie di esso; un periodo di permanente crisi generale dei rapporti capitalistici e di sviluppo delle rivoluzioni socialiste, cioè di guerre civili del proletariato contro la borghesia; un periodo di guerre nazionali e di rivolte coloniali, che pur non essendo in se stesse movimenti socialisti del proletariato rivoluzionario, oggettivamente sono parte integrante della rivoluzione proletaria mondiale, in quanto distruggono le basi del dominio dell’imperialismo; un periodo il quale comprende l’esistenza contemporanea di sistemi economico-sociali capitalisti e socialisti in seno all’economia mondiale, rapporti pacifici e lotte armate tra di essi; un periodo nel quale si costituiscono delle unioni di Stati socialisti sovietici, un periodo di guerre degli Stati imperialistici contro questi Stati socialisti e di legami sempre più stretti di essi con i movimenti coloniali, ecc. 
L’ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo. Questa ineguaglianza diventa sempre più forte e profonda nell’epoca dell’imperialismo. Da ciò deriva che la rivoluzione internazionale del proletariato non può essere considerata come un atto il quale si compia in un solo momento e in tutti i luoghi contemporaneamente. Da ciò deriva che è possibile la vittoria del socialismo dapprincipio in alcuni e anche in un solo paese capitalistico, preso separatamente. Ma ogni vittoria del proletariato allarga la base della rivoluzione mondiale e rende quindi ancora più acuta la crisi generale del capitalismo. Il sistema capitalistico si avvicina così, nel suo complesso, alla catastrofe definitiva. La dittatura del capitale finanziario finisce, lasciando il posto alla dittatura del proletariato.       
Se le rivoluzioni borghesi significarono soltanto la liberazione politica di un sistema di rapporti di produzione il quale già si era formato ed era economicamente dominante, e fecero passare il potere dalle mani di una classe di sfruttatori nelle mani di un’altra classe di sfruttatori, la rivoluzione proletaria, invece significa l’irruzione impetuosa del proletariato nel dominio dei rapporti propri della società borghese, l’espropriazione delle classi sfruttatrici e il passaggio del potere a una classe, che si propone come compito fondamentale di trasformare le basi economiche della società e di sopprimere ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Ciononostante, se le rivoluzioni borghesi soltanto nel corso di secoli posero fine al dominio politico della nobiltà feudale in tutto il mondo, spezzando questo dominio con una serie di rivoluzioni separate, la rivoluzione internazionale del proletariato, pur non essendo un atto unico e pur abbracciando un’epoca intiera, può cionondimeno adempiere il proprio compito in un periodo più breve, grazie ai più stretti legami esistenti tra i diversi paesi.      
Solamente dopo la vittoria completa del proletariato in tutto il mondo e dopo il consolidamento del suo potere mondiale, si apre un lungo periodo di intensa edificazione di una economia socialista mondiale.      
La conquista del potere da parte del proletariato è condizione per lo sviluppo delle forme socialiste dell’economia e per il progresso culturale del proletariato, il quale ricostruisce la propria natura, diviene maturo per il governo della società in tutti i campi della vita, trascina in questo processo di rigenerazione le altre classi, e in questo modo crea la base per la sparizione delle classi in generale.     
Nella lotta per la dittatura del proletariato e per la successiva trasformazione della struttura della società, contro il blocco dei proprietari di terre e dei capitalisti, si organizza l’unione degli operai e dei contadini sotto l’egemonia ideologica e politica degli operai, e questa unione è la base della dittatura del proletariato.      
Il periodo transitorio è, nel suo assieme, caratterizzato dalla sconfitta implacabile della resistenza degli sfruttatori, dall’organizzazione della costruzione socialista, dalla rieducazione in massa degli uomini nello spirito del socialismo, dalla graduale eliminazione delle classi. Soltanto nella misura nella quale vengono adempiuti questi grandi compiti storici, la società del periodo di transizione incomincia a trasformarsi in società comunista. 
La condizione indispensabile e decisiva, quindi, per il passaggio dell’economia capitalistica mondiale a un’economia socialista è la dittatura del proletariato mondiale. Questa dittatura può realizzarsi soltanto come risultato della vittoria del socialismo in singoli paesi o gruppi di paesi, quando le repubbliche proletarie da poco costituite stringeranno dei legami federativi con quelle già esistenti, quando la rete di queste unioni federative si allargherà, includendo in sè e liberando dal giogo del capitalismo le colonie, quando la federazione di queste repubbliche diventerà, alla fine, una Unione delle repubbliche socialiste sovietiche del mondo, in cui si realizzerà l’unità del genere umano sotto l’egemonia del proletariato mondiale organizzato come Stato.
La conquista del potere da parte del proletariato non è una <<conquista>>, facile e indolore della macchina dello Stato borghese bella e pronta che si compia per il fatto di aver conquistato la maggioranza nel parlamento. La borghesia impiega tutti i mezzi della violenza e del terrore per difendere e rafforzare la proprietà conquistata con la rapina e il proprio dominio politico. La borghesia, come nei tempi passati la nobiltà feudale, non può cedere la propria posizione storica senza la lotta più disperata e più furiosa. Perciò la violenza della borghesia può essere spezzata soltanto dalla rude forza del proletariato. La conquista del potere da parte del proletariato significa l’abbattimento del potere della borghesia, la distruzione dell’apparato dello Stato capitalistico e la sostituzione di esso con nuovi organi del potere proletario, i quali sono, anzitutto, armi per prostrare gli sfruttatori.


2. La dittatura del proletariato e la sua forma sovietica

La forma del potere dello Stato proletario che più corrisponde allo scopo, come ha dimostrato l’esperienza del 1917 e della rivoluzione ungherese, allargando enormemente l’esperienza della Comune di Parigi del 1871, è un nuovo tipo di Stato, che si distingue dallo Stato borghese non solo per il suo contenuto di classe, ma anche per la sua struttura interna: il tipo dello Stato sovietico. Questo tipo di Stato, sorgendo dal più vasto movimento di massa dei lavoratori, assicura la più grande attività delle masse e dà quindi le maggiori garanzie di vittoria definitiva.     
Lo Stato di tipo sovietico, essendo la più alta forma di democrazia, e precisamente essendo una democrazia proletaria, si contrappone recisamente alla democrazia borghese, la quale costituisce una forma mascherata di dittatura borghese. Lo Stato sovietico del proletariato è la sua dittatura, il suo potere di unica classe al governo. Contrariamente alla democrazia borghese, esso confessa apertamente il suo carattere di classe, apertamente pone come proprio compito la sconfitta degli sfruttatori nell’interesse dell’enorme maggioranza della popolazione. Esso priva i suoi nemici di classe dei diritti politici e, in particolari condizioni storiche, esso può dare una serie di privilegi temporanei al proletariato, allo scopo di consolidare la sua posizione di dirigente in confronto con la piccola borghesia agraria amorfa. Mentre disarma e sottopone i suoi avversari di classe, lo Stato proletario considera in pari tempo questa privazione dei diritti politici e la limitazione delle libertà come misure transitorie di lotta contro i tentativi degli sfruttatori di difendere o restaurare i loro privilegi. Esso scrive sulla propria bandiera che il proletariato tiene nelle proprie mani il potere non per fare di esso una cosa eterna, non per soddisfare ai propri interessi di gruppo e strettamente corporativi, ma allo scopo di unificare sempre più le masse arretrate e amorfe dei proletari e semiproletari della campagna e i contadini lavoratori con gli strati più avanzati degli operai, sopprimendo gradualmente e sistematicamente la divisione tra le classi in generale. Essendo una forma universale di unificazione e organizzazione delle masse sotto la guida del proletariato, i soviet attirano di fatto alla lotta e alla costruzione del socialismo, le più grandi masse di proletari, di contadini e di lavoratori in generale, le portano praticamente a dirigere lo Stato, si appoggiano in tutto il loro lavoro sopra le organizzazioni di massa della classe operaia, realizzano una estesa democrazia dei lavoratori, e sono, più di qualsiasi altra forma di potere, vicini alle masse. Il diritto di rieleggere i delegati, il diritto di revocarli, l’unione del potere esecutivo con il potere legislativo, le elezioni fatte non sulla base di circoscrizioni territoriali, ma secondo il principio della produzione (per fabbriche, laboratori, ecc.), tutto ciò garantisce alla classe operaia e alle grandi masse di lavoratori che stanno sotto la egemonia di essa una partecipazione sistematica, ininterrotta e attiva a tutti gli affari pubblici, - economici, di politica generale, di guerra e di cultura, - e stabilisce una profonda differenza tra la repubblica borghese parlamentare e la dittatura sovietica del proletariato. 
La democrazia borghese, con la sua eguaglianza formale dei cittadini davanti alla legge, è basata sopra una flagrante ineguaglianza nel campo economico-materiale. Considerando assolutamente inviolabile, difendendo e rafforzando il monopolio di classe dei capitalisti e dei grandi proprietari di terre sui mezzi di produzione di importanza decisiva, la democrazia borghese trasforma per le classi sfruttate e anzitutto per i proletari l’eguaglianza formale davanti alla legge, le libertà politiche e i diritti, sottoposti in pratica a restrizioni sistematiche, in finzioni giuridiche e, quindi, in mezzi per ingannare e opprimere le masse. Essendo espressione del dominio politico della borghesia, la cosiddetta democrazia è quindi una democrazia capitalistica. Lo Stato sovietico, invece, priva le classi sfruttatrici dei mezzi di produzione e crea un monopolio di questi mezzi nelle mani del proletariato come classe dominante. Prima di tutto e soprattutto esso garantisce quindi le condizioni per la realizzazione dei diritti della classe operaia e dei lavoratori in generale, mettendo a disposizione degli operai le case, gli edifici pubblici, le tipografie, i mezzi di locomozione, ecc.   
Nel campo dei diritti politici generali, lo Stato sovietico, privando di questi diritti i nemici del popolo e gli sfruttatori, per la prima volta pone fine in modo completo all’ineguaglianza dei cittadini, la quale, nei sistemi basati sullo sfruttamento, si basa sulle differenze di sesso, di religione, di nazionalità; esso instaura in questo campo una tale eguaglianza, quale non è stata realizzata in nessun paese borghese.
In pari tempo la dittatura del proletariato crea sicuramente la base mentale per realizzare di fatto questa eguaglianza, applica misure per la protezione della donna, per favorire lo sviluppo industriale delle antiche colonie, ecc. 
La democrazia sovietica è, dunque, una democrazia proletaria, una democrazia delle masse lavoratrici, una democrazia contro gli sfruttatori.  
Lo Stato sovietico attua il disarmo completo della borghesia e concentra le armi nelle mani del proletariato: esso è lo Stato del proletariato armato. L’organizzazione delle forze armate viene compiuta in esso sulla base del principio di classe, in accordo con tutta la struttura della dittatura proletaria e per garantire la direzione al proletariato industriale. Questa organizzazione, essendo basata sopra una disciplina rivoluzionaria, assicura in pari tempo un legame permanente e il più stretto tra i combattenti dell’esercito rosso e della flotta rossa e le masse lavoratrici, la partecipazione di essi al governo del paese e alla costruzione del socialismo.


3. La dittatura del proletariato e l’espropriazione degli espropriatori

Il proletariato vittorioso si serve del potere che ha conquistato come una leva per attuare un rivolgimento economico, cioè per operare una trasformazione rivoluzionaria dei rapporti che sono propri del capitalismo in rapporti di produzione socialisti. Il punto di partenza di questa grandiosa rivoluzione economica è l’espropriazione dei grandi proprietari di terre e dei capitalisti, cioè la trasformazione della proprietà monopolistica della borghesia in proprietà dello Stato proletario. 
In questo campo l’Internazionale comunista pone alla dittatura proletaria i seguenti compiti fondamentali:

A) Industria, trasporti, comunicazioni

a) Confisca e nazionalizzazione proletaria di tutte le imprese della grande industria (fabbriche, officine, miniere, centrali elettriche), le quali sono nelle mani del capitale privato, e passaggio ai soviet di tutte le aziende di Stato e municipali.   
b) Confisca e nazionalizzazione proletaria delle ferrovie, delle linee automobilistiche, marittime e fluviali appartenenti al capitale privato, dei mezzi di trasporto aereo (flotta aerea commerciale e di turismo),e passaggio ai soviet dei mezzi di trasporto di ogni genere i quali sono proprietà dello Stato o municipale.        
c) Confisca e nazionalizzazione proletaria dei mezzi di comunicazione appartenenti al capitale privato (telegrafo, telefono, radio), e passaggio ai soviet dei mezzi di comunicazione appartenenti allo Stato, ai comuni, ecc.
d) Organizzazione di una direzione operaia dell’industria. Formazione di organi dirigenti di Stato con la più diretta partecipazione dei sindacati professionali. Attribuzione ai consigli di fabbrica di una funzione rispondente. 
e) Adattamento dell’attività industriale al servizio dei bisogni delle grandi masse lavoratrici. Riorganizzazione di quelle branche industriali, che sono dirette a servire il consumo delle classi dominanti (oggetti di lusso, ecc.). Rafforzamento di quelle branche industriali, che favoriscono lo sviluppo dell’agricoltura, allo scopo di consolidare l’unione con l’economia contadina, di assicurare lo sviluppo delle aziende agricole di Stato e di accelerare il ritmo di sviluppo di tutta l’economia del paese in generale.

B) Agricoltura

a) Confisca e nazionalizzazione proletaria di tutta la grande proprietà fondiaria nelle città e nelle campagne (privata, delle chiese, dei conventi, ecc.), e passaggio ai soviet della proprietà fondiaria dello Stato e municipale, tra cui le foreste, il sottosuolo, le acque, ecc.; successiva nazionalizzazione di tutto il suolo. 
b) Confisca di tutto l’attrezzamento delle grandi proprietà fondiarie, come case, macchine e altre forme di inventario, bestiame, fabbriche addette alla trasformazione dei prodotti agricoli (grandi mulini, caseifici, latterie, essiccatoi, ecc.).    
c) Trasmissione delle grandi proprietà, specialmente di quelle che hanno valore come aziende modello, oppure hanno una grande importanza economica, in gestione agli organi della dittatura proletaria e organizzazione di aziende agricole sovietiche.
d) Trasmissione di una parte delle terre già appartenenti a grandi proprietari e delle altre terre confiscate, in particolare là dove esse erano lavorate dai contadini fittavoli e servivano ad asservirli, in godimento ai contadini (agli strati poveri e a una parte degli strati medi di essi). La parte di terre da assegnarsi ai contadini è determinata sia dall’opportunità economica quanto dalla necessità di neutralizzare i contadini e di conquistarli al proletariato; essa deve necessariamente essere diversa a seconda delle diverse circostanze.       
e) Divieto, - allo scopo di conservare la terra ai contadini, e per lottare contro il passaggio di essa nelle mani dei capitalisti, degli accaparratori, ecc. - di ogni compravendita della terra. Lotta decisa contro le violazioni di questa legge.
f) Lotta contro l’usura. Annullamento dei patti servili. Annullamento dei debiti dei contadini sfruttati. Liberazione dalle imposte dei contadini più poveri, ecc.        
g) Ampie misure dello Stato per elevare le forze produttive dell’agricoltura; sviluppo dell’elettrificazione nelle campagne, costruzione di trattrici, produzione di concimi chimici, allevamento di bestiame di razza di ogni qualità nelle aziende sovietiche, vasta organizzazione del credito per il miglioramento agrario, ecc. 
h) Appoggio e finanziamento della cooperazione agricola e di ogni forma di collettivizzazione della produzione nella campagna (associazioni, comunità, ecc.). Propaganda sistematica dell’unione dei contadini in cooperative (cooperazione di vendita, di approvvigionamento, di credito), sulla base dell’iniziativa e dell’attività delle masse contadine, e propaganda del passaggio alla grande produzione agraria, la quale - grazie all’incontestabile superiorità tecnica ed economica della grande produzione - assicura il più grande vantaggio economico immediato, ed è il mezzo di transizione al socialismo più accessibile alle grandi masse lavoratrici.

C) Commercio e credito

a) Nazionalizzazione proletaria delle banche private (consegna allo Stato proletario di tutta la riserva aurea, delle valute, dei depositi, ecc.) e passaggio allo Stato proletario delle banche nazionali, municipali, ecc.   
b) Centralizzazione di tutta l’attività bancaria, subordinazione di tutte le grandi banche nazionalizzate alla banca centrale di Stato.    
c) Nazionalizzazione e passaggio agli organi dello Stato sovietico del commercio all’ingrosso e delle grandi aziende di spaccio al minuto (depositi di merci, elevatori, magazzini, riserve, ecc.). d) Incoraggiamento in tutti i modi della cooperazione di consumo, - che è la parte più importante dell’apparato di distribuzione, - sulla base dell’unificazione del suo sistema di lavoro, e con la garanzia della partecipazione attiva ad essa delle masse.        
e) Monopolio del commercio estero.        
f) Annullamento (cancellazione) dei debiti dello Stato verso i capitalisti esteri e del paese.

D) Protezione del lavoro, condizioni di esistenza, ecc.

a) Riduzione della giornata di lavoro a 7 ore, e a 6 ore nelle industrie nocive alla salute dei lavoratori. Ulteriore riduzione della giornata di lavoro e passaggio alla settimana di lavoro di 5 giorni nei paesi le cui forze produttive sono sviluppate. Lunghezza della giornata di lavoro rispondente allo sviluppo della produttività del lavoro. 
b) Divieto, in generale, del lavoro notturno e del lavoro nelle industrie particolarmente nocive a tutte le persone di sesso femminile. Divieto del lavoro dei bambini. Divieto delle ore supplementari.
c) Particolare limitazione della giornata di lavoro per i giovani (massimo di 6 ore fino a 18 anni).          Riorganizzazione socialista del lavoro dei giovani mediante l’unione della produzione materiale all’educazione generale e politica.  
d) Assicurazioni sociali di tutte le sorti (invalidità, vecchiaia, infortuni, disoccupazione, ecc.), amministrate completamente e direttamente dagli assicurati, e a spese dello Stato (a spese degli imprenditori nella misura in cui esistono ancora delle imprese private).         
e) Larghe misure sanitarie, organizzazione dell’assistenza medica gratuita. Lotta contro tute le malattie sociali.        
f) Eguaglianza sociale delle donne e degli uomini davanti alla legge e nei costumi, trasformazione radicale del diritto matrimoniale e familiare, riconoscimento della maternità come funzione sociale, difesa della maternità e dell’infanzia. Inizio di realizzazione della cura e dell’educazione dell’infanzia e della gioventù da parte della società (dispensari per bambini, giardini d’infanzia, asili, ecc.). Creazione di istituzioni per la progressiva riduzione dell’economia domestica (cucine e lavatoi pubblici), lotta culturale sistematica contro le ideologie e le tradizioni che rendono schiava la donna.

E) Abitazioni

a) Confisca della grande proprietà edilizia.
b) Consegna delle case confiscate alla gestione dei soviet locali.       
c) Installazione degli operai negli alloggi dei borghesi.    
d) Distribuzione alle organizzazioni operaie dei palazzi e dei grandi edifici privati e pubblici.  
e) Realizzazione di un graduale programma di costruzioni edilizie.

F) Questioni nazionale e coloniale

a) Riconoscimento a tutte le nazionalità, indipendentemente dalla loro razza, del pieno diritto a disporre di se stesse, sino alla separazione dallo Stato. 
b) Unificazione e centralizzazione volontarie delle forze armate ed economiche di tutti I popoli liberati dal capitalismo, per la lotta contro l’imperialismo e per la costruzione di un’economia socialista.
c) Lotta decisa e con tutti i mezzi contro ogni restrizione o limitazione diretta contro qualsiasi popolo, qualsiasi nazione o razza. Piena eguaglianza di diritti di tutte le razze e nazionalità.
d) Garanzia e sostegno con tutte le forze e con tutti i mezzi, da parte dello Stato sovietico, della cultura nazionale dei popoli liberati dal capitalismo, seguendo, nello sviluppo del contenuto di questa cultura una linea proletaria coerente. 
e) Assistenza di ogni genere allo sviluppo economico, politico e culturale delle <<regioni>>, delle <<colonie>>, dei <<territori>> che precedentemente erano oppressi nel senso di una loro trasformazione socialista, allo scopo di creare delle solide basi di una effettiva completa eguaglianza nazionale.
f) Lotta contro tutti i residui di nazionalismo, di odio nazionale, di pregiudizi di razza e di altri prodotti ideologici della barbarie feudale e capitalistica.

G) Mezzi di influenza ideologica

a) Nazionalizzazione delle tipografie.        
b) Monopolio dei giornali e delle edizioni.  
c) Nazionalizzazione delle grandi imprese cinematografiche, dei teatri, ecc.    
d) Utilizzazione dei mezzi di <<produzione spirituale>> nazionalizzati per la più vasta istruzione politica e generale dei lavoratori e per la formazione di una nuova cultura socialista sopra una base proletaria di classe.


4. Le basi della politica economica della dirittura del proletariato

Nell’adempimento di tutti questi compiti della dittatura del proletariato è necessario tenere presenti le norme che seguono:      
1. L’abolizione completa della proprietà privata della terra e la nazionalizzazione di tutta la terra non possono essere realizzate immediatamente nei paesi capitalistici più progrediti, dove il principio della proprietà privata è riuscito a radicarsi profondamente nelle vastissime masse contadine. In questi paesi la nazionalizzazione della terra può essere realizzata soltanto a gradi, per via di una serie di misure transitorie.
2. La nazionalizzazione della produzione non deve, di regola, estendersi alle imprese piccole e medie (di contadini, artigiani, medi e piccoli mercanti, piccoli industriali, ecc.). Innanzitutto, perchè il proletariato non può non fare una distinzione rigorosa tra la proprietà, basata sul lavoro del produttore diretto di merci, il quale può e deve essere portato gradualmente nella scia della grande costruzione socialista, e la proprietà del capitalista basata sullo sfruttamento, la liquidazione della quale è una premessa indispensabile della costruzione socialista.        
In secondo luogo, perchè il proletariato, dopo avere conquistato il potere, e specialmente nelle prime fasi della dittatura, non dispone ancora di una quantità di forze organizzate che sia sufficiente non solo a distruggere il capitalismo, ma anche a organizzare immediatamente l’unione di piccole e medie unità produttive individuali sopra una base nuova, socialista. Queste piccole economie individuali (innanzitutto le economie contadine) saranno attratte nella organizzazione generale socialista della produzione e della distribuzione soltanto gradualmente, grazie al possente appoggio sistematico dato dallo Stato proletario a tutte le forme della loro collettivizzazione. Ogni spezzatura violenta della loro struttura economica e la loro collettivizzazione forzata potrebbero dare solamente dei risultati negativi. 
3. L’esistenza di una quantità considerevole di piccole unità economiche (in primo luogo di economie contadine, di aziende agricole in affitto, di artigiani, di piccoli mercanti, ecc.), non solo nelle colonie, nelle semicolonie e nei paesi economicamente arretrati, dove le masse piccolo-borghesi costituiscono l’enorme maggioranza della popolazione, ma anche nei centri dell’economia capitalistica mondiale (Stati Uniti d’America, Germania, e anche Inghilterra, fino a un certo punto), rende necessaria, in una certa misura, la conservazione, - nelle prime fasi di sviluppo, - della forma di legame economico costituita dal mercato, del sistema monetario, ecc. la diversità dei tipi economici (dalla grande industria socializzata all’economia del piccolo contadino e dell’artigiano), la quale non può non andare unita a una lotta tra di esse; la diversità delle classi e degli aggruppamenti di classe corrispondenti a queste forme economiche, la diversità dei loro stimoli economici e la lotta tra i loro differenti interessi; infine, l’esistenza in tutti i campi della vita economica di consuetudini e tradizioni, ereditate dalla società borghese e impossibili a superarsi di colpo; tutto questo impone che la direzione economica del proletariato sappia combinare giustamente sulla base dei rapporti di mercato la grande industria socialista e la piccola economia dei semplici produttori di merci, combinarle in modo tale che garantisca in pari tempo la funzione dirigente dell’industria socialista e il massimo sviluppo di tutta la massa fondamentale delle economie contadine. Perciò, quanto più è grande nell’economia generale del paese il peso specifico di piccoli contadini lavoratori dispersi, tanto più dovrà essere grande il volume dei rapporti di mercato, tanto più dovrà essere piccola l’importanza della gestione secondo un piano, tanto più il piano economico generale si baserà sulla previsione dei rapporti economici che si configurano ancora spontaneamente. Al contrario, quanto più piccolo è il peso specifico della piccola economia, tanto più notevole sarà la parte del lavoro socializzato, tanto più integrante la massa dei mezzi di produzione concentrati e socializzati, tanto più ridotto il volume dei rapporti di mercato, tanto più grande l’importanza del piano in rapporto con gli elementi spontanei, tanto più importanti e generali i metodi di gestione secondo un piano, sia nel campo della produzione quanto nel campo della distribuzione.
I vantaggi tecnici ed economici della grande produzione socializzata, la centralizzazione di tutti i più importanti posti di comando economico (industria, trasporti, grande aziende agricole, banche, ecc.) nelle mani dello Stato proletario, la direzione dell’economia secondo un piano, la potenza dell’apparato statale nel suo assieme (bilancio, imposte, legislazione amministrativa e legislazione in generale) hanno come conseguenza che, se la dittatura proletaria conduce una giusta politica di classe, cioè se valuta giustamente i rapporti di classe, vengono eliminati continuamente e sistematicamente i residui di capitale privato, e i nuovi germi di capitalismo nella città e nella campagna (contadini ricchi, kulaki), i quali sorgono dallo sviluppo della economia dei semplici prodotti di merci quando il commercio è più o meno libero ed esiste il mercato. D’altra parte, nello stesso tempo, le masse fondamentali delle economie contadine (cioè delle economie piccole e medie) vengono sistematicamente inserite nel sistema generale del socialismo in sviluppo, per via della loro inserzione nella cooperazione e della estensione delle forme economiche collettive. Le forme e i metodi di attività economica i quali sono legati ai rapporti di mercato e sono esteriormente capitalistici (calcolo del valore, retribuzione del lavoro in danaro, compra-vendita, credito e banche, ecc.), acquistano la funzione di leve della trasformazione socialista, nella misura in cui servono sempre più ad imprese di tipo socialista conseguente, cioè servono al settore socialista della economia.  
In questo modo i rapporti di mercato in regime di dittatura proletaria, data una giusta politica dello Stato sovietico, portano, sviluppandosi, alla propria fine; contribuendo all’eliminazione del capitale privato, alla trasformazione dell’economia contadina, alla ulteriore centralizzazione e concentrazione dei mezzi di produzione nelle mani dello Stato proletario, essi favoriscono l’eliminazione dei rapporti di mercato in generale.
Nel caso di un verosimile intervento militare dei capitalisti e di una lunga guerra controrivoluzionaria contro la dittatura del proletariato, la direzione economica deve tener conto, innanzi tutto, degli interessi della difesa della dittatura proletaria. In questo caso può presentarsi la necessità di una politica economica comunista di guerra (<<comunismo di guerra>>), la quale non è altro che l’organizzazione di un consumo razionale agli scopi della difesa bellica, unita a un sistema di pressione accentuata sui gruppi capitalistici (confische, requisizioni, ecc.), alla liquidazione più o meno completa della libertà di commercio e dei rapporti di mercato, e alla brusca distruzione degli stimoli del piccolo produttore, il che provoca una caduta delle forze produttive del paese. Questa politica di <<comunismo di guerra>> distrugge le basi materiali degli strati avversi alla classe operaia nell’interno del paese, assicura una razionale distribuzione delle riserve ancora esistenti e favorisce la lotta armata della dittatura proletaria. Essa trova in questo la propria giustificazione storica, ma non può essere considerata come il <<normale>> sistema di politica economica della dittatura del proletariato.


5. La dittatura del proletariato e le classi

La dittatura del proletariato è una continuazione della lotta di classe del proletariato in nuove condizioni. La dittatura del proletariato può essere una lotta tenace, cruenta e incruenta, violenta e pacifica, militare ed economica, pedagogica e amministrativa, contro le forze e le tradizioni della vecchia società, contro i nemici capitalisti esteri, contro i residui delle classi sfruttatrici nell’interno del paese, contro i germi di una nuova borghesia, i quali nascono dalla produzione mercantile non ancora eliminata.  
Finita la guerra civile, la lotta di classe continua accanita in nuove forme, innanzitutto nella forma di lotta tra i residui e i nuovi germi delle vecchie strutture economiche da un lato e le forme socialiste della produzione dall’altro. Le forme della lotta però si modificano nelle diverse tappe dello sviluppo del socialismo, e nei primi stadi di esso la lotta stessa, in circostanze determinate, può acutizzarsi.      
Nel periodo iniziale della dittatura proletaria la politica del proletariato verso le altre classi e gli altri gruppi sociali del paese è determinata dai princìpi seguenti:

1. La grande borghesia e i grandi proprietari di terre, quella parte del corpo degli ufficiali che è devota ad essi, i generali e l’alta burocrazia sono nemici irriducibili della classe operaia e contro di essi è necessaria la lotta più decisa. L’utilizzazione delle capacità organizzative di una certa parte di queste classi è possibile, ma, di regola, solamente dopo il consolidamento della dittatura e dopo che tutte le congiure e insurrezioni degli sfruttatori sono state decisamente sconfitte.
2. Gli intellettuali tecnici, educati nelle tradizioni borghesi, sono legati strettamente, nei loro strati superiori, all’apparato dirigente del capitale. Il proletariato, pur bloccando con il più grande vigore ogni tentativo controrivoluzionario degli intellettuali che gli sono ostili, deve in pari tempo tenere conto della necessità di utilizzare nella costruzione del socialismo questa forza sociale qualificata, incoraggiando in ogni modo coloro che sono neutrali e in particolare coloro che sono favorevoli alla rivoluzione operaia. Sviluppando in tutta la loro ampiezza le prospettive della costruzione socialista, nel campo tecnico-economico e nel campo della cultura, il proletariato deve conquistare a sè sistematicamente gli intellettuali tecnici, attirandoli sotto la propria influenza ideologica e assicurando la loro stretta collaborazione all’opera di riorganizzazione della società.    
3. In rapporto ai contadini, il compito dei partiti comunisti consiste nell’attirare a sè tutta la popolazione sfruttata e lavoratrice della campagna, appoggiandosi al proletariato rurale. Il proletariato deve, dopo la sua vittoria, distinguere con attenzione i differenti gruppi che esistono tra i contadini, valutare il loro peso specifico, appoggiare in ogni modo gli strati di contadini poveri, semiproletari, passare ad essi una parte delle terre dei grandi proprietari, agevolare ad essi la lotta contro il capitale usuraio, ecc. Inoltre il proletariato deve neutralizzare gli strati medi dei contadini ed eliminare la più piccola resistenza da parte della borghesia di campagna, alleata dei grandi proprietari. Nella misura in cui la sua dittatura si consolida e la costruzione socialista si sviluppa, il proletariato deve passare dalla politica di neutralizzazione a una politica di stretta unione con le masse dei contadini medi, senza però porsi mai dal punto di vista di una qualsiasi divisione del potere. La dittatura del proletariato, infatti, mentre da un lato è l’espressione del fatto che solo gli operai industriali sono in grado di dirigere tutta la massa dei lavoratori, dall’altro lato, pure essendo il potere del solo proletariato, è in pari tempo una forma speciale di unione di classe del proletariato, avanguardia dei lavoratori, con le infinite masse dei lavoratori non proletari, o con la maggioranza di essi. Questa unione è diretta contro il capitale, tende all’abbattimento completo di esso, alla sconfitta completa della resistenza della borghesia, e dei suoi tentativi di restaurazione, è una unione che ha come obiettivo l’instaurazione e il consolidamento definitivi del socialismo.        
4. La piccola borghesia urbana, che oscilla continuamente tra la reazione più nera e la simpatia per il proletariato, deve pure essere neutralizzata e, nei limiti del possibile, conquistata dal proletariato. Questo ultimo risultato si ottiene conservandole la piccola proprietà e una certa libertà di scambi economici, sopprimendo il credito a usura, e assicurandole l’aiuto del proletariato nella lotta contro ogni e qualsiasi forma di oppressione capitalistica.


6. Le organizzazioni di massa nel sistema della dittatura del proletariato

Nell’adempimento di tutti questi compiti della dittatura proletaria si trasformano radicalmente gli scopi e le funzioni delle organizzazioni di massa, e in prima linea delle organizzazioni operaie. Le organizzazioni operaie di massa nelle quali si uniscono organicamente in modo elementare e si educano i più ampi strati del proletariato, i sindacati professionali (industriali), sono, in regime capitalista, gli strumenti principali della lotta a mezzo degli scioperi, e poi della lotta delle masse contro il capitale trustificato e il suo Stato. In regime di dittatura proletaria essi diventano la leva essenziale della dittatura, una scuola di comunismo, che eleva le grandi masse del proletariato alla gestione socialista della produzione, una organizzazione la quale è collegata immediatamente con tutte le parti dell’apparato dello Stato, influisce sopra tutte le branche della sua attività, veglia in pari tempo agli interessi permanenti e immediati della classe operaia, e lotta contro la degenerazione burocratica degli organi dello Stato sovietico. I sindacati diventano quindi l’ossatura fondamentale delle organizzazioni economiche e statali del proletariato, in quanto forniscono i quadri dirigenti del lavoro costruttivo, attirano a questo lavoro larghi strati del proletariato, e si propongono in modo particolare di lottare contro le degenerazioni burocratiche, che nascono fatalmente da influenzare di classi ostili al proletariato e dalla ancora insufficiente cultura nelle masse. 
Le organizzazioni cooperative della classe operaia sono condannate, in regime capitalista, nonostante le utopie riformiste, ad avere una funzione relativamente modesta. Grazie alle condizioni generali del sistema capitalistico e alla politica riformista dei loro dirigenti esse degenerano spesso e diventano un’appendice del sistema capitalistico stesso. In regime di dittatura del proletariato esse possono e devono diventare parti costitutive importantissime dell’apparato di distribuzione.     
Infine, la cooperazione agricola dei contadini (di vendita, di acquisto, di credito, di produzione), se è diretta in modo adeguato, se lotta sistematicamente contro gli elementi capitalistici e si assicura la partecipazione effettiva di masse lavoratrici effettivamente estese, guidate dal proletariato, - può e deve diventare una delle forme organizzate fondamentali del legame tra città e campagna. In regime capitalistico le associazioni cooperative di aziende agricole, nella misura in cui sono apparse capaci di vivere, per la maggior parte si sono esse pure trasformate totalmente in aziende capitalistiche, perchè erano dipendenti dall’industria capitalistica, dalle banche capitalistiche, dall’ambiente capitalistico in generale, e perchè erano dirette dai riformisti, dalla borghesia rurale e talora anche dai grandi proprietari. In regime di dittatura proletaria, invece, queste associazioni si sviluppano in un sistema di rapporti differenti e dipendono dall’industria proletaria, dalle banche proletarie, ecc. Con una buona politica del proletariato, con una lotta di classe sistematica, contro gli elementi capitalistici fuori e dentro le organizzazioni cooperative, sotto la direzione dell’industria socialista, la cooperazione agricola diventa una delle leve più potenti della trasformazione socialista della campagna, della collettivizzazione di essa. Tutto ciò non esclude la possibilità che in alcuni paesi tanto le associazioni cooperative di consumo quanto e specialmente le associazioni cooperative agricole, dirette dalla borghesia e dai suoi agenti socialdemocratici, siano da principio un focolaio di attività controrivoluzionaria e di sabotaggio dell’opera di edificazione economica della rivoluzione operaia.   
In tutta l’attività di lotta e di edificazione che viene svolta dalle più differenti organizzazioni del proletariato, le quali devono essere, di fatto, leve dello Stato sovietico, strumenti di collegamento di esso con le più larghe masse di tutti gli strati della classe operaia, il proletariato assicura un’unità di volontà e di azione per via della funzione dirigente del partito comunista nel sistema della dittatura proletaria.
Il partito del proletariato si appoggia direttamente sui sindacati professionali e sopra una serie di altre organizzazioni le quali abbracciano le masse degli operai e, attraverso ad essi anche dei contadini (soviet, cooperazione, gioventù comunista, ecc.), e a mezzo di queste leve dirige tutto il sistema sovietico nel suo complesso. Il proletariato può adempiere il proprio compito di organizzatore di una nuova società soltanto se il potere dei soviet ha l’appoggio incondizionato di tutte le organizzazioni di massa, soltanto se esiste un’unità assoluta di volere della classe operaia, soltanto sotto la direzione del partito.


7. La dittatura del proletariato e la rivoluzione culturale

Questo compito di organizzatore di una nuova società umana presuppone la maturità culturale del proletariato stesso, la trasformazione della sua propria natura, la formazione continua nelle sue file di sempre nuovi quadri, capaci di impadronirsi di tutti gli strumenti della scienza, della tecnica e della amministrazione e di servirsene per la costruzione del socialismo e di una nuova cultura.
Mentre la rivoluzione borghese contro il feudalismo presuppone che nel seno della stessa società feudale esista una nuova classe, la quale è superiore, per la sua maturità culturale, alla classe dominante e già, entro alla società feudale, esercita una egemonia della vita economica, la rivoluzione proletaria si sviluppa in condizioni diverse. La classe operaia è, nella società capitalistica, una classe economicamente sfruttata, politicamente oppressa e schiacciata nel campo della cultura. Solo nel periodo di transizione, solo dopo la conquista del potere dello Stato, solo dopo aver abbattuto il monopolio dell’istruzione ed essersi impossessata di tutta la scienza, soltanto come risultato di un grandioso lavoro costruttivo la classe operaia riesce a trasformare la sua propria natura. Per la creazione di una coscienza comunista di massa e per la stessa causa del socialismo è necessaria una trasformazione delle masse umane, e questa è possibile solamente nel movimento reale, nella rivoluzione. La rivoluzione, dunque, è necessaria non solamente perchè la classe dominante non può essere abbattuta con nessun altro mezzo, ma anche perchè la classe che la abbatte può liberarsi da tutto il fango della vecchia società e acquistare la capacità di creare una società nuova solamente attraverso la rivoluzione.  
Dopo aver distrutto il monopolio della classe dei capitalisti sui mezzi di produzione, la classe operaia deve distruggere anche il monopolio borghese dell’istruzione, cioè deve impossessarsi di tutte le scuole, comprese le più alte. Un compito di particolare importanza per il proletariato è la formazione dal seno della classe operaia di specialisti sia nel campo della produzione (ingegneri, tecnici, organizzatori,ecc.), quanto nel campo militare, scientifico, artistico e così via. Oltre a questo si pone il compito dell’elevazione generale della cultura delle masse proletarie, della loro istruzione politica, dell’aumento del livello della loro conoscenza e della loro qualifica tecnica, della creazione di abitudini di gestione e di lavoro collettivi, il compito della lotta contro i residui di mentalità borghese, e piccolo-borghese, ecc.     
Una garanzia di costruzione vittoriosa del socialismo, una garanzia contro la cancrena burocratica e contro la degenerazione della classe operaia esiste solamente nella misura in cui il proletariato distribuisce le sue forze di avanguardia a tutti i <<posti di comando>> della costruzione socialista e culturale, soltanto nella misura in cui le sue forze si sviluppano sempre più, e sempre nuovi operai partecipano al processo della trasformazione rivoluzionaria della cultura, scomparendo così gradualmente le stesse distinzioni interne di classe in strati <<avanzati>> e <<arretrati>> del proletariato.   
Il proletariato, però, nel corso della rivoluzione non trasforma solamente la sua propria natura, ma anche la natura di altre classi, innanzitutto degli strati numerosissimi di piccola borghesia urbana e rurale, e in particolare dei contadini lavoratori. La classe operaia fa partecipare le più grandi masse alla rivoluzione culturale, le fa entrare nel processo della costruzione socialista, le unisce e le educa comunisticamente con tutti i metodi che sono a sua disposizione, conduce una lotta decisa contro tutte le ideologie antioperaie e corporative, compie degli sforzi ostinati e sistematici per superare l’arretratezza generale e culturale della campagna. In questo modo essa prepara, - sulla base dello sviluppo delle forme di economia collettiva, - il superamento della decisione della società in classi.     
Tra gli obiettivi della rivoluzione culturale, la quale abbraccia le masse più vaste, occupa un posto particolare la lotta contro la religione, - oppio del popolo, - e questa lotta deve essere condotta sistematicamente, senza esitazioni. Il potere proletario deve abolire ogni appoggio dello Stato alla Chiesa, strumento delle classi dominanti, deve porre fine a ogni intervento della Chiesa nell’organizzazione statale dell’educazione e dell’insegnamento, e sconfigge con determinazione l’attività controrivoluzionaria delle organizzazioni ecclesiastiche. In pari tempo il potere proletario, concedendo libertà di culto e ponendo fine alla posizione di privilegio della religione prima dominante, svolge, con tutti i mezzi che sono a sua disposizione, una propaganda antireligiosa e compie tutto il suo lavoro educativo e di istruzione sulla base di una concezione scientifica materialista del mondo.


8. La lotta per la dittatura mondiale del proletariato e i tipi fondamentali di rivoluzione

La rivoluzione proletaria internazionale è il risultato di processi di diversa natura e non contemporanei, di rivoluzioni puramente proletarie, di rivoluzioni di tipo democratico-borghese che si trasformano in rivoluzioni del proletariato, di guerre di liberazione nazionale, di rivoluzioni coloniali. Soltanto in ultima analisi il processo della rivoluzione sbocca nella dittatura mondiale del proletariato.     
L’ineguaglianza di sviluppo del capitalismo, che si fa più acuta nel periodo dell’imperialismo, crea tipi diversi di capitalismo e diversi gradi di maturità di esso nei singoli paesi, crea circostanze differenti e specifiche allo sviluppo della rivoluzione. Queste circostanze rendono storicamente del tutto inevitabile che l’avvento del proletariato al potere segua differenti vie e differenti tempi, creano, per certi paesi, la necessità di determinare tappe transitorie come avviamento alla dittatura del proletariato, e, infine, fanno sì che la costruzione del socialismo assuma nei singoli paesi forme diverse.
Le circostanze differenti e le differenti vie di passaggio alla dittatura del proletariato nei singoli paesi possono schematicamente ridursi a tre tipi fondamentali.  
Paesi di capitalismo molto sviluppato ( Stati Uniti d’America, Germania, Inghilterra, ecc.), con potentissime forze produttive, con una produzione fortemente centralizzata, importanza relativamente scarsa della piccola economia, e un regime democratico-borghese formato già da lungo tempo. In questi paesi il passaggio diretto alla dittatura del proletariato è la fondamentale rivendicazione del programma nel campo politico. Nel campo economico sono particolarmente caratteristici: la espropriazione di tutta la grande produzione, l’organizzazione di una quantità considerevole di fattorie di Stato e, reciprocamente, la consegna ai contadini di una parte relativamente piccola delle terre, l’estensione relativamente ristretta dei rapporti spontanei del mercato, un rapido ritmo di sviluppo socialista in generale e, in particolare, della collettivizzazione dell’economia contadina.        
Paesi con un livello medio di sviluppo del capitalismo (Spagna, Portogallo, Polonia, Ungheria, paesi balcanici, ecc.), con residui considerevoli di rapporti semifeudali nell’agricoltura, con un certo minimo, però, di condizioni materiali necessarie per la costruzione del socialismo, ma nei quali non è ancora compiuta la rivoluzione democratico-borghese. In alcuni di questi paesi è possibile un processo più o meno rapido di trasformazione di una rivoluzione democratico-borghese in rivoluzione socialista; in altri sono possibili tipi diversi di rivoluzioni proletarie, nelle quali i compiti di carattere democratico-borghese hanno una grande parte. In questi paesi, dunque, alla dittatura del proletariato si può arrivare non di colpo, ma mediante il passaggio dalla dittatura democratica del proletariato e dei contadini alla dittatura socialista del proletariato. Là dove la rivoluzione si presenta immediatamente come rivoluzione proletaria, essa presuppone la direzione da parte del proletariato di un grande movimento agrario-contadino. La rivoluzione agraria ha in generale una grandissima importanza, e talora una importanza decisiva. Nell’espropriazione della grande proprietà terriera una parte considerevole della terra confiscata viene distribuita ai contadini. Il volume dei rapporti di mercato dopo la vittoria del proletariato è considerevole. Il compito di portare i contadini alla cooperazione e poi all’associazione produttiva occupa un posto enorme tra gli altri compiti della costruzione socialista. Il ritmo di questa costruzione è relativamente lento.
Paesi coloniali e semicoloniali (Cina, India, ecc.) e paesi dipendenti (Argentina, Brasile, ecc.), con un’industria embrionale, talora anche considerevolmente sviluppata, ma insufficiente, nella maggior parte dei casi, per una costruzione socialista indipendente; paesi in cui prevalgono, sia nell’economia del paese che nella sua costruzione politica, rapporti feudali-medioevali o rapporti del <<modo di produzione asiatico>>; paesi, infine, in cui le più grandi imprese industriali, commerciali e bancarie, i mezzi fondamentali di trasporto, i latifondi, le piantagioni, ecc. sono nelle mani di gruppi imperialistici stranieri. Importanza centrale assumono quì la lotta contro il feudalesimo e contro le forme precapitalistiche di sfruttamento e la rivoluzione agraria portata conseguentemente sino alla fine, da un lato, e dall’altro lato la lotta contro l’imperialismo straniero per l’indipendenza nazionale. Il passaggio alla dittatura del proletariato è possibile in questi paesi, di regola, solo attraverso una serie di grandi preparatori, solo come risultato di un intiero periodo di trasformazione della rivoluzione democratico-borghese in rivoluzione socialista, e un successo della costruzione socialista - nella maggior parte dei casi - è possibile solo con l’appoggio diretto dei paesi della dittatura proletaria.  
Nei paesi ancora più arretrati (per esempio in alcune parti dell’Africa) dove non vi è quasi nessun operaio salariato o non ve ne è realmente nessuno, dove la maggioranza della popolazione vive in tribù e sussistono ancora dei residui delle forme di vita primitiva, dove manca quasi una borghesia nazionale, e dove l’imperialismo straniero ha, essenzialmente, la funzione di occupante militare il quale si impadronisce della terra, al centro deve stare la lotta per la liberazione nazionale, L’insurrezione nazionale e la vittoria di essa possono in questi paesi aprire la via a uno sviluppo verso il socialismo, senza passare per lo stadio del capitalismo in generale, se però interviene l’aiuto possente dei paesi della dittatura proletaria.
In questo modo nell’epoca in cui negli Stati capitalistici sviluppati è all’ordine del giorno la conquista del potere da parte del proletariato, quando già esiste di fatto nell’URSS la dittatura del proletariato, fattore di importanza internazionale, i movimenti di liberazione dei paesi coloniali e semicoloniali, suscitati dalla penetrazione in essi del capitalismo mondiale, possono, malgrado l’immaturità dei rapporti sociali esistenti in questi paesi presi isolatamente, portare a uno sviluppo socialista di essi con l’aiuto e con l’appoggio della dittatura proletaria e del movimento proletario internazionale in generale.


9. La lotta per la dittatura mondiale del proletariato e le rivoluzioni coloniali

Le condizioni particolari in cui si svolge la lotta rivoluzionaria nei più importanti paesi coloniali e semicoloniali, l’inevitabilità di un lungo periodo di lotta per la dittatura democratica del proletariato e dei contadini e la trasformazione di questa in dittatura del proletariato, l’importanza decisiva, infine, degli elementi nazionali, impongono ai partiti comunisti di questi paesi una serie di compiti speciali, rappresentanti uno stadio di preparazione ai compiti generali della dittatura del proletariato. L’internazionale comunista ritiene che i più importanti tra questi compiti sono i seguenti:     
1) abbattimento del potere dell’imperialismo straniero, dei proprietari feudali e della burocrazia dei grandi proprietari;   
2) instaurazione della dittatura democratica del proletariato e dei contadini sulla base dei soviet;  
3) indipendenza nazionale completa e unificazione statale;      
4) annullamento dei debiti dello Stato;     
5) nazionalizzazione delle grandi aziende (industriali, di trasporto, bancarie, ecc.) appartenenti agli imperialisti;        
6) confisca della terra dei grandi proprietari, delle chiese e dei conventi: nazionalizzazione di tutta la terra;

7) introduzione della giornata di otto ore; 
8) organizzazione di un esercito rivoluzionario operaio e contadino.     
Sviluppandosi e approfondendosi la lotta (sabotaggio della borghesia, confisca delle terre appartenenti agli strati di borghesia che operano il sabotaggio e inevitabile passaggio alla nazionalizzazione della grande industria), in quelle colonie e semicolonie dove il proletariato ha una funzione dirigente e predominante, la rivoluzione democratico-borghese conseguente si trasformerà in rivoluzione proletaria. Nelle colonie dove non esiste proletariato, l’abbattimento del potere degli imperialisti deve significare la organizzazione del potere di soviet popolari (contadini), la confisca delle aziende e delle terre degli stranieri e il passaggio di esse nelle mani dello Stato.
Dal punto di vista della lotta contro l’imperialismo, dal punto di vista della conquista del potere da parte della classe operaia, le rivoluzioni coloniali e i movimenti di liberazione nazionale hanno una importanza enorme. Le colonie e le semicolonie sono importanti nel periodo transitorio anche perchè, nei confronti dei paesi industriali, i quali hanno la funzione di città mondiale, esse hanno la funzione di un contado mondiale, e il problema dell’organizzazione di una economia mondiale socialista, di una giusta combinazione dell’industria e dell’agricoltura, è per gran parte un problema di rapporti con le vecchie colonie dell’imperialismo. L’unione fraterna e combattiva con le masse lavoratrici delle colonie è perciò uno degli obiettivi più importanti che si pongono al proletariato industriale del mondo intiero, il quale dirige e guida la lotta contro l’imperialismo.   
In questo modo, il corso della rivoluzione mondiale mentre porta gli operai delle metropoli alla lotta per la dittatura del proletariato, trascina pure centinaia di milioni di operai e di contadini delle colonie alla lotta contro l’imperialismo straniero. Poichè esistono dei centri di socialismo, le repubbliche sovietiche e la loro potenza economica in sviluppo, le colonie che si staccano dall’imperialismo si avvicinano economicamente e grado a grado si uniscono ai focolai industriali del socialismo mondiale, sono trascinate nella scia della costruzione socialista, evitando la fase dello sviluppo ulteriore del capitalismo come sistema dominante, e possono compiere un rapido progresso economico e civile. I soviet contadini delle antiche colonie arretrate, e i soviet operai e contadini delle antiche colonie più sviluppate, raggruppandosi politicamente attorno ai centri della dittatura proletaria si inseriscono nel sistema generale in sviluppo della federazione delle repubbliche sovietiche e quindi, di conseguenza, nel sistema della dittatura mondiale del proletariato.  
Lo sviluppo del socialismo, come nuovo sistema di produzione, abbraccia il mondo intiero.

 

  • La dittatura del proletariato nell’URSS e la rivoluzione socialista mondiale

 

1. La costruzione del socialismo nell’URSS e la lotta di classe

La scissione dell’economia mondiale in paesi del capitalismo e paesi dove si costruisce il socialismo è la più grave manifestazione della profondissima crisi del sistema capitalistico. Il consolidamento interiore della dittatura proletaria nell’URSS, i successi della costruzione del socialismo, l’aumento dell’influenza e dell’autorità dell’URSS tra le masse dei proletari e tra i popoli oppressi delle colonie significano perciò la continuazione, il rafforzamento e lo sviluppo della rivoluzione socialista internazionale.   
Disponendo nel loro paese delle condizioni materiali necessarie e sufficienti non solo per l’abbattimento dei grandi proprietari di terre e della borghesia, ma anche per la costruzione del socialismo integrale, gli operai delle repubbliche sovietiche, con l’aiuto del proletariato internazionale, hanno eroicamente respinto l’attacco delle forze armate della controrivoluzione interna ed esterna, hanno consolidato la loro unione con le masse fondamentali dei contadini e ottenuto dei grandi successi nel campo della costruzione socialista.   
Il legame dell’industria proletaria socialista con la piccola economia contadina che garantisce l’aumento delle forze produttive dell’agricoltura e la direzione dell’industria socialista; la saldatura di questa industria con l’agricoltura invece dell’asservimento capitalistico di essa al consumo improduttivo delle classi parassitarie; la produzione non per il profitto capitalistico, ma per il soddisfacimento dei bisogni delle masse, i quali crescono rapidamente e quindi costituiscono, in ultima analisi, uno stimolo potente di tutto il processo produttivo; infine, la grandiosa concentrazione dei posti di comando dell’economia nelle mani dello Stato proletario, la crescente importanza della direzione secondo un piano, l’economia che ne risulta e la ripartizione più razionale dei mezzi di produzione: tutto contribuisce a dare al proletariato la possibilità di avanzare rapidamente sulla via della costruzione socialista.       
Elevando le forze produttive di tutta l’economia del paese, seguendo senza esitazioni una politica di industrializzazione dell’URSS il cui rapido ritmo è dettato da tutta la situazione internazionale e interna, il proletariato dell’URSS, malgrado i tentativi sistematicamente ripetuti di boicottaggio economico-finanziario da parte delle potenze imperialistiche, aumenta in pari tempo il peso specifico di tutto il settore socializzato (socialista) dell’economia, tanto per ciò che si riferisce ai mezzi di produzione quanto per ciò che si riferisce alla produzione globale e alla circolazione delle merci in generale. L’industria socialista di Stato, i trasporti e il sistema bancario, attraverso alle leve del commercio dello Stato e della cooperazione in rapido sviluppo, nelle condizioni create dalla nazionalizzazione del suolo e dalla crescente industrializzazione del paese, attirano sempre più a sè le piccole e medie economie contadine. Particolarmente nell’agricoltura, l’accrescimento delle forze produttive ha luogo in condizioni che limitano la differenziazione dei contadini (nazionalizzazione della terra e, quindi, divieto di compravendita degli appezzamenti, imposizione fortemente progressiva, finanziamento della cooperazione dei contadini poveri e medi e delle loro unità collettive, legislazione sul lavoro dei braccianti, soppressione di una serie di diritti politici e sociali dei contadini ricchi, organizzazione speciale dei contadini poveri, ecc.). Nella misura però in cui le forze produttive dell’industria socialista non sono ancora così sviluppate da poter creare su grande scala una nuova base tecnica dell’agricoltura e da assicurare, in pari tempo, una immediata rapida unificazione produttiva delle economie contadine in grandi aziende socializzate (aziende collettive), i contadini ricchi si sviluppano in una certa misura essi pure e stabiliscono prima un legame economico e poi anche un legame politico con elementi della cosiddetta <nuova borghesia>>.       
Il proletariato dell’URSS tiene nelle proprie mani le leve di comando della vita economica del paese; elimina sistematicamente i residui del capitale privato nelle città, l’importanza del quale è diminuita in modo straordinariamente rapido nell’ultimo periodo della <<Nuova politica economica>>: restringe in tutti i modi gli strati di sfruttatori nelle campagne, strati i quali si formano sulla base dello sviluppo dei rapporti di mercato e monetari; appoggia le economie sovietiche nelle campagne e ne fonda continuamente delle nuove; attrae le masse fondamentali dei contadini semplici produttori di merci nel sistema generale dell’organizzazione economica sovietica e, quindi, li attrae alla costruzione del socialismo mediante un rapido progresso della cooperazione, che, in regime di dittatura del proletariato e dotto la direzione economica dell’industria socialista, si identifica con lo sviluppo del socialismo; passa dalla ricostruzione dell’economia alla riproduzione allargata di tutta la base tecnico-produttiva del paese. Esso si pone quindi e incomincia ad assolvere il compito di fare dei grandi investimenti industriali (produzione di mezzi di produzione, industria e, in special modo, elettrificazione), e, parallelamente allo sviluppo progressivo della cooperazione di vendita, di consumo e di credito, il compito della organizzazione delle masse dei contadini in cooperative di produzione sopra una base collettivista, mediante il potente appoggio materiale dello Stato proletario.
In questo modo il socialismo, il quale è già la forza economica decisiva che dà in sostanza la propria impronta a tutto lo sviluppo dell’economia dell’URSS, fa degli enormi passi avanti e supera sistematicamente le difficoltà derivanti dal carattere piccolo-borghese del paese e legate ai periodi di temporaneo aggravamento dei contrasti di classe. La necessità di rinnovare l’impianto dell’industria e la necessità di nuovi grandi investimenti industriali non possono non far sorgere sulla via dello sviluppo socialista una serie di difficoltà assai gravi, le quali, in ultima analisi, si spiegano con l’arretratezza tecnico-economica del paese e con la devastazione che esso ha subito negli anni della guerra imperialista e della guerra civile. Nonostante ciò, il livello di esistenza della classe operaia e delle grandi masse lavoratrici si eleva in modo ininterrotto. Insieme con la razionalizzazione socialista e con l’organizzazione scientifica dell’industria, viene gradualmente introdotta la giornata di lavoro di sette ore, il che apre nuove prospettive di miglioramento delle condizioni di lavoro, economiche e di esistenza della classe operaia.       
Sulla base dello sviluppo economico dell’URSS e dell’aumento ininterrotto del peso specifico del settore socialista, la classe operaia, unita sotto la direzione di un partito comunista temprato nelle lotte rivoluzionarie, senza interrompere per un minuto la lotta contro i contadini ricchi, appoggiandosi nelle campagne ai contadini poveri e mantenendosi strettamente alleata della massa fondamentale dei contadini medi, fa partecipare alla costruzione del socialismo delle masse sempre più larghe di decine di milioni di lavoratori. Gli strumenti fondamentali che essa impiega per ottenere questo scopo sono: lo sviluppo di grandi organizzazioni di massa (il partito, forza dirigente; i sindacati professionali, spina dorsale di tutto il sistema della dittatura proletaria; la gioventù comunista; la cooperazione di ogni sorta; l’organizzazione delle donne operaie e contadine; le cosiddette <<associazioni volontarie>> di diverso tipo, le organizzazioni di corrispondenti operai e contadini, sportive, scientifiche, culturali, educative), lo stimolo dato in tutti i modi all’iniziativa delle masse, la designazione di sempre nuovi strati di operai ai posti di comando in tutti i campi dell’economia e dell’amministrazione. L’incessante partecipazione delle masse al processo della costruzione socialista, il continuo ringiovanimento di tutto l’apparato economico-statale, sindacale e di partito con sempre nuovi elementi tolti dal proletariato, la preparazione sistematica di nuovi quadri socialisti per tutti i rami della produzione, preparazione che viene fatta nelle scuole superiori e in corsi speciali, cui partecipano tutti gli operai e in particolare la gioventù operaia, sono tra le principali garanzie contro l’irrigidimento burocratico e contro la degenerazione sociale dei quadri proletari dirigenti.


2. L’importanza dell’URSS e i suoi doveri rivoluzionari internazionali

Abbattuto l’imperialismo russo e liberate tutte le antiche colonie e le nazionalità oppresse dall’impero degli zar, la dittatura del proletariato nell’URSS crea sistematicamente una solida base allo sviluppo culturale e politico di queste nazionalità, mediante l’industrializzazione dei loro territori.       
Essa ha sancito nella Costituzione dell’Unione la posizione giuridica delle regioni autonome, delle repubbliche autonome e confederate e ha realizzato pienamente il diritto delle nazionalità a disporre di se stesse. In questo modo la dittatura del proletariato garantisce l’eguaglianza non soltanto formale, ma di fatto, delle diverse nazionalità dell’Unione.       
L’URSS, - paese della dittatura del proletariato e della costruzione del socialismo, paese delle enormi conquiste della classe operaia, paese dell’alleanza tra operai e contadini, paese di una nuova cultura, la quale si forma sotto la bandiera del marxismo. - è inevitabilmente la base del movimento mondiale di tutte le classi oppresse, il focolare della rivoluzione internazionale, il più grande fattore della storia mondiale. Per la prima volta il proletariato mondiale trova nell’URSS effettivamente la sua patria, mentre per i movimenti coloniali essa è un centro di attrazione potente.       
L’URSS è un importantissimo fattore della crisi generale del capitalismo, non solo perchè si è staccata dal sistema capitalistico mondiale, creando la base di un sistema economico nuovo, socialista, ma anche perchè ha in generale una funzione rivoluzionaria, di importanza eccezionale, la funzione di essere il motore internazionale della rivoluzione proletaria, di spingere gli operai di tutti i paesi alla conquista del potere, di dare l’esempio vivente del fatto che il proletariato non solamente è capace di abbattere il capitalismo, ma anche di costruire il socialismo, di fornire il modello delle reciproche relazioni fraterne che correranno tra i popoli di tutti i paesi nell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche del mondo, il modello di quell’unione economica dei lavoratori di tutti i paesi in una sola economia mondiale socialista, che verrà instaurata dal proletariato mondiale dopo la conquista del potere.        
La coesistenza simultanea di due sistemi di economia, del sistema socialista nell’URSS e del sistema capitalistico negli altri paesi, pone allo Stato proletario il compito di respingere gli attacchi del mondo capitalistico (boicottaggio, blocco, ecc.) e in pari tempo il compito di manovrare nel campo economico utilizzando i rapporti economici con i paesi capitalistici (servendosi dell’aiuto dell’organizzazione monopolistica del commercio estero, la quale è una delle condizioni essenziali del successo della costruzione del socialismo; servendosi di crediti, prestiti, concessioni, ecc.). La direttiva principale fondamentale in questo campo deve essere la direttiva di avere con l’estero i legami più ampi possibili, ma entro i limiti in cui essi sono utili all’URSS, prima di tutto per il rafforzamento dell’industria nella stessa URSS, per gettare le basi di una propria industria pesante e dell’elettrificazione e infine, per creare un’industria socialista di costruzione di macchine. Una garanzia assoluta contro il pericolo di una distruzione della costruzione socialista nell’URSS e di una trasformazione dell’URSS in appendice del sistema capitalistico mondiale, esiste soltanto nella misura in cui l’URSS, accerchiata dal capitalismo, si assicura questa indipendenza economica.
D’altra parte, gli Stati capitalistici, nonostante siano interessati ai mercati dell’URSS, oscillano continuamente tra i loro interessi commerciali e la paura dello sviluppo dell’URSS, che è sviluppo della rivoluzione internazionale. La tendenza principale e fondamentale nella politica delle potenze imperialistiche è la tendenza all’accerchiamento dell’URSS e alla guerra controrivoluzionaria contro di essa, allo scopo di strangolarla e di instaurare un regime di terrore borghese in tutto il mondo.
Questi tentativi sistematici dell’imperialismo per accerchiare politicamente l’URSS, e il pericolo crescente di un attacco militare non impediscono al VKP(b), sezione dell’Internazionale comunista, dirigente della dittatura proletaria nell’URSS, di adempiere i suoi doveri internazionali e dare un appoggio a tutti gli oppressi; al movimento operaio dei paesi capitalistici, al movimento dei popoli coloniali contro l’imperialismo, alla lotta contro l’oppressione nazionale di qualsiasi forma.


3. I doveri del proletariato internazionale verso l’URSS

Per parte sua il proletariato internazionale, il quale ha nell’URSS la sua sola patria, il più possente baluardo delle sue conquiste e il fattore più importante della sua liberazione internazionale, ha il dovere di contribuire al successo della costruzione socialista nell’URSS e di difendere con tutti i mezzi l’URSS dagli attacchi delle potenze capitalistiche.       
<<La situazione politica mondiale ha posto oggi all’ordine del giorno la dittatura del proletariato, e tutti gli avvenimenti della politica mondiale si concentrano inevitabilmente attorno a un punto centrale, la lotta della borghesia mondiale contro la Repubblica sovietica russa, la quale deve raggruppare attorno a sè fatalmente, da un lato, i movimenti sovietici degli operai d’avanguardia di tutti i paesi, dall’altro lato tutti i movimenti di liberazione nazionale delle colonie e delle popolazioni oppresse>> (Lenin).      
In caso di un attacco degli Stati imperialisti contro l’URSS e di una guerra contro di essa il proletariato deve rispondere con le azioni di massa più audaci e decise e con la lotta per l’abbattimento dei governi imperialistici con la parola d’ordine della dittatura del proletariato e dell’unione contro l’URSS.      
Nelle colonie, e specialmente nelle colonie dei paesi che attaccano l’URSS è necessario approfittare della mobilitazione delle forze armate dell’imperialismo per rafforzare al massimo grado la lotta antimperialistica e l’organizzazione di azioni rivoluzionarie per spezzare il giogo dell’imperialismo e conquistare una indipendenza completa.     
Lo sviluppo del socialismo nell’URSS e l’aumento della sua influenza internazionale non soltanto mobilitano contro di essa l’odio delle potenze capitalistiche e delle loro agenzie socialdemocratiche, ma suscitano pure grandissime simpatie per essa nelle larghe masse lavoratrici di tutto il mondo, e fanno sorgere nelle classi oppresse di tutti i paesi la ferma volontà di battersi con tutti i mezzi per il paese della dittatura del proletariato in caso di un attacco imperialista.
In questo modo, l’accentuazione delle contraddizioni dell’attuale economia mondiale, lo sviluppo della crisi generale capitalistica, l’attacco militare degli imperialisti contro l’Unione Sovietica portano inevitabilmente a una formidabile esplosione rivoluzionaria, la quale deve seppellire il capitalismo in una serie di paesi cosiddetti civili, scatenare una rivoluzione vittoriosa nelle colonie, allargare enormemente le basi della dittatura proletaria e realizzare un gigantesco passo in avanti verso la definitiva vittoria mondiale del socialismo.

 

  • La strategia e la tattica dell’Internazionale comunista nella lotta per la dittatura del proletariato

 

1. Le ideologie ostili al comunismo in seno alla classe operaia

Nella sua lotta contro il capitalismo per la dittatura del proletariato il comunismo rivoluzionario urta in seno alla classe operaia contro numerose tendenze le quali esprimono un grado maggiore o minore di subordinazione ideologica del proletariato alla borghesia imperialistica, oppure riflettono la pressione ideologica che viene esercitata sul proletariato dalla borghesia piccola e media, le quali di tempo in tempo insorgono contro il regime schiavista del capitale finanziario, ma non sono capaci di una strategia e di una tattica conseguenti e scientificamente rigorose, nè sono capaci di condurre una lotta organizzata con la rigida disciplina che è propria del proletariato.      
La formidabile potenza sociale dello Stato imperialista, con tutti i suoi apparati ausiliari, - la scuola, la stampa, il teatro, la Chiesa, - si fa sentire innanzitutto con la esistenza in seno alla classe operaia di tendenze confessionali e riformiste, che sono l’ostacolo più ingombrante sulla via della rivoluzione socialista del proletariato.  
Le tendenze confessionali, ammantate di religione, trovano la loro espressione nei sindacati professionali confessionali, legati spesso direttamente alle corrispondenti organizzazioni politiche della borghesia, dipendenti dall’una o dall’altra organizzazione ecclesiastica della classe dominante (sindacati professionali cattolici, associazioni giovanili cristiane, organizzazioni ebree sionistiche, ecc.). Tutte queste correnti, che sono un prodotto assai chiaro della servitù ideologica di alcuni strati del proletariato, hanno nella maggior parte dei casi un aspetto romantico-feudale. I dirigenti di queste organizzazioni confessionali benedicono con l’acquasanta della religione tutte le infamie del regime capitalistico, terrorizzano il loro gregge con la visione delle pene d’oltretomba e sono, in seno al proletariato, i distaccamenti più reazionari del nemico di classe.     
La forma cinicamente commerciale, imperialista, laica, di asservimento del proletariato all’influenza ideologica della borghesia è costituita dal riformismo <<socialista>> contemporaneo. Esso desume i suoi comandamenti fondamentali dalle tavole della politica imperialistica, ed ha oggi il suo modello nell’American Federation of Labor, organizzazione consapevolmente antisocialista e apertamente controrivoluzionaria. La dittatura <<ideologica>> dei lacchè della burocrazia sindacale americana, espressione della dittatura <<ideologica>> del dollaro, è diventata, attraverso la mediazione del riformismo inglese e dei socialisti di sua maestà del Labour Party, parte costitutiva essenziale della teoria e della pratica di tutta la socialdemocrazia internazionale e dei capi dell’Internazionale di Amsterdam. I capi della socialdemocrazia tedesca e austriaca rivestono le teorie che vengono dall’America di una fraseologia marxista, la quale vorrebbe celare il completo tradimento del marxismo che essi hanno compiuto. Il riformismo <<socialista>> è il nemico principale del comunismo rivoluzionario nel movimento operaio. Esso ha una larga base organizzativa nei partiti socialdemocratici e, attraverso di essi, nei sindacati professionali riformisti e in tutta la sua politica e in tutto il suo orientamento teorico si manifesta come una forza che è rivolta contro la rivoluzione proletaria.  
Nella politica estera i partiti socialdemocratici, sotto la bandiera della <<difesa della patria>>, hanno attivamente collaborato alla guerra imperialista. L’espansione dello Stato imperialistico e la <<politica coloniale>> trovano in essi un appoggio continuo; l’orientamento verso la <<Santa Alleanza>> delle potenze imperialistiche (<<Società delle Nazioni>>); la predicazione del <<superimperialismo>>, la mobilitazione delle masse con parola d’ordine pseudo-pacifiste, e in pari tempo il sostegno attivo dato all’imperialismo nei suoi attacchi contro l’URSS e nella preparazione della guerra contro di essa: tali sono le linee fondamentali della politica estera del riformismo.    
Nella politica interna la socialdemocrazia si è posta come compito di collaborare direttamente, di dare un aiuto diretto al regime capitalistico. Appoggio completo della razionalizzazione capitalistica e della stabilizzazione del capitalismo, garanzia della pace sociale, <<pace nell’industria>>, politica di fusione delle organizzazioni operaie con le organizzazioni del padronato e del brigantesco Stato imperialista, pratica della cosiddetta <<democrazia economica>>, la quale è di fatto una pratica di asservimento totale al capitale del trust, culto dello Stato imperialista e specialmente delle sue bardature pseudo-democratiche, partecipazione attiva alla costruzione di questo Stato, della sua polizia, dell’esercito, della gendarmeria e della giustizia di classe, difesa dello Stato imperialista da ogni attacco del proletariato rivoluzionario comunista, e assunzione della parte di giustiziere durante le crisi rivoluzionarie; tale è il contenuto della politica interna del riformismo. Simulando la lotta sindacale il riformismo si propone essenzialmente, in questo campo, di condurre questa lotta in modo da garantire la classe dei capitalisti da ogni scossa di qualsiasi genere, e da garantire, in ogni caso, la inviolabilità assoluta dei principi della proprietà capitalistica.
Nel campo della teoria la socialdemocrazia ha tradito pienamente e del tutto il marxismo, e attraverso la tappa del revisionismo è passata a un vero e proprio riformismo liberale-borghese e al socialimperialismo aperto. Alla dottrina di Marx sulle contraddizioni del capitalismo essa ha sostituito la dottrina borghese dello sviluppo armonico di esso. La dottrina delle crisi e dell’impoverimento del proletariato è stata messa in soffitta. La dottrina minacciosa e ardente della lotta di classe è stata sostituita dalla predicazione banale della pace sociale. La dottrina dell’acutizzazione dei contrasti di classe è stata trasformata nella favola piccolo-borghese della <<democratizzazione>> del capitale. Alla teoria dell’inevitabilità delle guerre in regime capitalistico è stata sostituita la menzogna borghese del pacifismo, la predicazione bugiarda del <<superimperialismo>>. La teoria della catastrofe rivoluzionaria del capitalismo è stata scambiata con la moneta falsa del capitalismo <<sano>, che si trasforma pacificamente in socialismo. Alla rivoluzione è stata sostituita l’evoluzione. Alla distruzione dello Stato borghese, la partecipazione attiva alla costruzione di esso. 
Alla dottrina della dittatura proletaria, la teoria della coalizione con la borghesia. Alla dottrina della solidarietà internazionale proletaria, la teoria della difesa delle patrie imperialiste. Al materialismo dialettico di Marx, la filosofia idealistica e il civettare con i detriti religiosi della borghesia.  

In seno a questo riformismo socialdemocratico si distinguono varie tendenze, particolarmente caratteristiche dal punto di vista della natura borghese della socialdemocrazia.     
Il socialismo costruttivo (MacDonald e C.), contiene nella stessa sua denominazione l’idea di una lotta contro il proletariato rivoluzionario di rapporti positivi con la società capitalistica.       
Esso continua le tradizioni filantropico-liberali, antireligiose e borghesi del fabianesimo (coniugi Webb, B. Shaw, lord Olivier, ecc.). Nega in linea di principio la dittatura del proletariato, i mezzi violenti di lotta contro la borghesia, ma appoggia la lotta violenta contro il proletariato e contro i popoli coloniali. E’ l’apologista dello Stato capitalistico; esalta, come socialismo, il capitalismo di Stato; proclama, insieme con i più volgari ideologi dell’imperialismo dei due emisferi, che la teoria della lotta di classe è una teoria <<prescientifica>>; predica a parole un programma inerte di nazionalizzazione con indennità, di imposta sulla rendita fondiaria, di imposta sulle successioni e di imposizione dei sovraprofitti come mezzo per l’abbattimento del capitalismo. Avversario deciso della dittatura del proletariato nell’URSS, il <<socialismo costruttivo>>, in pieno accordo con la borghesia, è un attivo nemico del movimento comunista del proletariato e delle rivoluzioni coloniali.   
Una varietà del <<socialismo costruttivo>> è il <<cooperativismo>> o <<socialismo cooperativo>> (Charles Gide, Totomiantz e C.), il quale pure respinge energicamente la lotta di classe e fa propaganda dell’organizzazione cooperativa del consumo come mezzo per eliminare il capitalismo per via pacifica, mentre di fatto contribuisce in tutti i modi a rafforzarlo. Il <<cooperativismo>>, disponendo, nelle organizzazioni di massa della cooperazione di consumo, di un vasto apparato di propaganda che gli consente di influire sistematicamente, giorno per giorno, sopra grandi masse, conduce una lotta ostinata contro il movimento operaio rivoluzionario, si oppone alla realizzazione dei suoi fini ed è attualmente uno dei fattori più attivi della controrivoluzione riformista.
Il cosiddetto <<socialismo ghildista>> (Penty, Orage, Hobson, ecc.) è un tentativo eclettico di unire il sindacalismo <<rivoluzionario>> con il fabianesimo liberale-borghese, il decentramento anarchico (<<ghilde industriali nazionali>>) con la centralizzazione del capitalismo di Stato, la ristrettezza corporativa artigiana medioevale con il capitalismo contemporaneo. Partendo dalla rivendicazione verbale dell’abolizione del <<sistema del salariato>> considerato come una istituzione <<immorale>>, la quale deve essere sostituita dal controllo operativo sull’industria, il socialismo ghildista elude completamente la questione essenziale, la questione del potere. Sforzandosi di riunire gli operai, gli intellettuali e i tecnici in un federazione di <<ghilde>> industriali nazionali, e di trasformare per vie pacifiche (<<controllo dall’interno>>) queste ghilde in organi di direzione dell’industria entro i confini dello Stato borghese, il socialismo ghildista difende di fatto questo Stato, nasconde il suo carattere di classe, imperialista, antiproletario e gli assegna il posto di rappresentante, <<al di fuori delle classi>>, degli interessi dei <<consumatori>>, in contrapposizione ai <<produttori>>, organizzati nelle ghilde. Con la sua predicazione della <<democrazia funzionale>>, cioè con una rappresentazione delle classi della società capitalistica considerate come professioni fornite di particolari funzioni sociali produttive, il socialismo ghildista apre la strada allo <<Stato corporativo>> del fascismo. Negando il parlamentarismo e respingendo in pari tempo l’<<azione diretta>>, la maggior parte dei socialisti ghildisti condanna la classe operaia all’inattività assoluta e alla sottomissione passiva alla borghesia. Il socialismo ghildista rappresenta, quindi, un opportunismo tradeunionistico utopistico di una specie particolare, e come tale non può non avere una funzione controrivoluzionaria. 
Una forma particolare del riformismo socialdemocratico è, infine, l’austromarxismo. Parte integrante dell’ala <<sinistra>> della socialdemocrazia, l’austromarxismo rappresenta la forma più perfida di inganno delle masse lavoratrici. L’austromarxismo prostituisce la terminologia marxista e rompe, in pari tempo, con le basi del marxismo rivoluzionario (kantismo, machismo, ecc. degli <<austromarxisti>> in filosofia), amoreggia con la religione, prende dai riformisti inglesi la dottrina della <<democrazia funzionale>>, si pone dal punto di vista della <<costruzione della repubblica>>, cioè dello Stato borghese, e raccomanda la <<collaborazione delle classi>> nei periodi di cosiddetto <<equilibrio delle forze sociali>>, cioè precisamente quando matura una crisi rivoluzionaria. Questa teoria giustifica la coalizione con la borghesia per fiaccare la rivoluzione proletaria facendo mostra di difendere la <<democrazia>> dall’attacco della reazione. Oggettivamente e in pratica la violenza ammessa dall’austromarxismo in caso di attacco della reazione si risolve in violenza della reazione contro la rivoluzione del proletariato. La <<funzione>> dell’austromarxismo consiste nel trarre in inganno gli operai i quali già marciano verso il comunismo. Per questo l’austromarxismo è un nemico particolarmente pericoloso del proletariato, più pericoloso dei partigiani dichiarati del socialimperialismo brigantesco.
Se tutte queste tendenze, parti costitutive del riformismo <<socialista>>, costituiscono un’agenzia della borghesia imperialista in seno alla classe operaia, il comunismo urta, d’altra parte, contro una serie di tendenze piccolo-borghesi, le quali riflettono ed esprimono le oscillazioni di strati sociali instabili (piccola borghesia urbana, media borghesia urbana in decomposizione, Lumpen-Proletariat, intellettuali disperati e perdigiorno, artigiani rovinati, alcuni strati di contadini, ecc.). Queste tendenze, che si distinguono per una estrema instabilità politica, non di rado coprono con frasi di sinistra una politica di destra, oppure precipitano nell’avventura, sostituendo al calcolo oggettivo delle forze una rumorosa gesticolazione politica, passando spesso dall’inverosimile ostentazione rivoluzionaria al pessimismo profondo e alla capitolazione vera e propria davanti al nemico. In alcune circostanze queste correnti, particolarmente nel momento di brusche modificazioni della situazione politica, quando è necessaria una ritirata temporanea, possono disorganizzare in modo molto pericoloso le file proletarie, ed essere in pari tempo di ostacolo al movimento rivoluzionario del proletariato.        
L’anarchismo, i cui rappresentanti più in vista (Kropotkin, Jean Grave, ecc.) al tempo della guerra degli anni 1914-1918 tradirono e passarono dalla parte della borghesia imperialista, nega la necessità di ampie, centralizzate e disciplinate organizzazioni del proletariato e così rende il proletariato impotente di fronte alle possenti organizzazioni del capitale. Predicando il terrore individuale, esso distoglie il proletariato dai metodi dell’organizzazione di massa e della lotta di massa. Negando la dittatura del proletariato in nome della <<libertà>> astratta, l’anarchismo priva il proletariato dell’arma più affilata e più efficace contro la borghesia, contro il suo esercito e tutti i suoi organismi di repressione. Distaccato da qualsiasi movimento di massa nei centri più importanti della lotta proletaria, l’anarchismo sempre più degenera in una setta, la quale, per la sua tattica e per tutta la sua attività, tra l’altro per l’attività che svolge contro la dittatura della classe operaia nell’URSS, si inserisce oggettivamente nel fronte unico delle forze controrivoluzionarie.       
Il sindacalismo <<rivoluzionario>>, molti ideologi del quale nelle ore più critiche della guerra passarono al campo dei controrivoluzionari <<antiparlamentari>> di tipo fascista, oppure diventarono dei riformisti pacifisti secondo il modello socialdemocratico, con la sua negazione della lotta politica (e in particolare del parlamentarismo rivoluzionario) e della dittatura rivoluzionaria del proletariato, con la sua predicazione de decentramento corporativo del movimento operaio in generale, con la sua negazione del partito del proletariato, con la sua negazione della necessità dell’insurrezione e con la sua sopravvalutazione dello sciopero generale (<<tattica delle braccia incrociate>>), ostacola al pari dell’anarchismo la conquista delle masse operaie alla rivoluzione, dappertutto dove ha una qualsiasi influenza. I suoi attacchi contro l’URSS, collegati con la negazione della dittatura proletaria in generale, lo pongono, sotto questo rapporto, sopra lo stesso piano della socialdemocrazia.        
Tutte queste tendenze e correnti sono d’accordo con la socialdemocrazia, questo principale nemico della rivoluzione proletaria, in una questione politica fondamentale, la questione della dittatura del proletariato. Perciò in modo più o meno determinato, esse combattono in un solo fronte con la socialdemocrazia contro l’URSS. D’altra parte, la socialdemocrazia, avendo rinnegato pienamente e per intiero il marxismo, si appoggia sempre più al’ideologia dei fabiani, dei socialisti costruttivi e ghildisti. Queste tendenze costituiscono l’ideologia ufficiale liberale-riformista del socialismo borghese della Seconda Internazionale.        
Nei paesi coloniali e tra i popoli e le razze oppresse in generale il comunismo urta in seno al movimento operaio contro l’influenza di tendenze particolari, le quali in una fase determinata ebbero una certa funzione positiva, ma in una nuova tappa diventano forze controrivoluzionarie.
Il sun-yat-senismo fu, nella Cina, l’ideologia di un <<socialismo>> piccolo-borghese, populista. Nella dottrina dei <<tre princìpi>> (nazionalismo, democrazia, socialismo) la nozione di popolo copriva e mascherava la nozione delle classi, il socialismo non rappresentava un sistema specifico e particolare di produzione, realizzato da una classe determinata, il proletariato, ma significava un benessere generale indeterminato; la lotta contro l’imperialismo non era legata alle prospettive di sviluppo della lotta di classe nell’interno del paese. Perciò il sun-yat-senismo, dopo avere avuto un’enorme funzione positiva nella prima fase della rivoluzione cinese, sviluppandosi nel paese la differenziazione delle classi e procedendo il corso della rivoluzione, cessò di essere la forma ideologica dello sviluppo di essa e diventò un ostacolo a questo sviluppo. Gli epigoni del sun-yat-senismo, dando rilievo esagerato proprio a quei lineamenti ideologici di esso, che erano oggettivamente controrivoluzionari, ne fecero l’ideologia ufficiale del Kuomintang, diventato a sua volta una forza apertamente controrivoluzionaria. La formazione ideologica delle masse del proletariato cinese e dei contadini lavoratori deve quindi essere accompagnata da una lotta decisa contro l’inganno del Kuomintang e dal superamento dei residui dell’ideologia del sun-yat-senismo. 
Le correnti come il gandhismo nell’India, che sono penetrate intimamente da rappresentazioni religiose, idealizzano le forme di esistenza più arretrate ed economicamente reazionarie, vedono una via di uscita non nel socialismo proletario, ma nel ritorno a queste forme arretrate, predicando la passività e la rinunzia alla lotta di classe, diventano, nel corso della rivoluzione, forze apertamente reazionarie. Il gandhismo è sempre più una ideologia ostile alla rivoluzione delle masse poplari. Esso deve essere oggetto di una lotta energica da parte del comunismo. Il garveismo, che fu l’ideologia dei piccoli proprietari e degli operai negri d’America, ed ha ancora adesso una certa influenza sulle masse dei negri, è esso pure diventato ora un ostacolo alla conquista delle masse alla rivoluzione. Dopo avere dapprincipio rivendicato piena eguaglianza di diritti politici per i negri, esso si trasformò poi in una specie di <<sionismo>> negro, il quale, invece della lotta contro l’imperialismo americano, lancia la parola: <<Torniamo in Africa !>>. Questa ideologia pericolosa, che ha perduto ogni lineamento relativamente democratico e si diverte ad agitare gli attributi aristocratici di un inesistente <<reame dei negri>>, deve incontrare una resistenza energica, perchè essa non favorisce ma, anzi, ostacola la lotta liberatrice di massa dei negri contro l’imperialismo americano.
A tutte queste tendenze si oppone il comunismo proletario. Potente ideologia della classe operaia rivoluzionaria internazionale, esso si distingue da tutte queste tendenze, e in prima linea dalla socialdemocrazia perchè, in pieno accordo con la dottrina di Marx e di Engels, esso conduce una lotta rivoluzionaria teorica e pratica per la dittatura del proletariato, e utilizza a questo scopo tutte le forme di azione proletaria di masse.

 

2. I compiti fondamentali della strategia e della tattica comuniste

Il successo della lotta dell’Internazionale comunista per la dittatura del proletariato suppone l’esistenza in ogni paese di un partito comunista solido, temprato nelle lotte, disciplinato, centralizzato, strettamente legato con le masse.         
Il partito è l’avanguardia della classe operaia, ed è formato dagli elementi migliori, più coscienti, più attivi e più coraggiosi di questa classe. Esso incarna l’esperienza complessiva di tutta la lotta proletaria. Forte della dottrina rivoluzionaria del marxismo, rappresentando gli interessi generali e permanenti della classe nel suo complesso, il partito impersona l’unità dei principi proletari, della volontà proletaria e dell’attività rivoluzionaria del proletariato. Esso è un’organizzazione rivoluzionaria, tenuta assieme da una disciplina di ferro e dal più rigoroso ordine rivoluzionario del centralismo democratico. Questo risultato si ottiene con la coscienza dell’avanguardia proletaria e con la sua devozione alla rivoluzione, con la sua capacità di vivere in contatto permanente con le masse del proletariato, con una giusta direzione politica, verificata e illuminata dall’esperienza delle masse stesse.        
Per adempiere il compito storico dell’instaurazione della dittatura del proletariato il partito comunista deve prima porsi a raggiungere i seguenti essenziali obbiettivi strategici:   
1) La conquista alla propria influenza della maggioranza dei membri della propria classe, e tra essi delle donne lavoratrici e della gioventù operaia. Per raggiungere questo scopo è necessario assicurare l’influenza decisiva del partito comunista sulle grandi organizzazioni di massa del proletariato (soviet, sindacati, consigli di fabbrica, organizzazioni cooperative, sportive, di cultura, ecc.).Un’importanza particolarmente grande, per la conquista della maggioranza del proletariato, ha la conquista dei sindacati, reali organizzazioni di massa della classe operaia legate alla sua lotta di tutti i giorni. Il lavoro nei sindacati reazionari e l’abile conquista di essi, il sapersi conquistare la fiducia delle grandi masse degli organizzati nei sindacati, la destituzione e la cacciata dai loro posti dei dirigenti riformisti sono tra i compiti più importanti del periodo preparatorio. 
2) L’instaurazione della dittatura del proletariato presuppone pure l’egemonia del proletariato su larghi strati di masse lavoratrici. Per ottenere che questa egemonia si realizzi, il partito comunista deve conquistare alla propria influenza le masse povere della città e della campagna, gli strati inferiori degli intellettuali, e la cosiddetta <<povera gente>>, cioè gli strati piccolo-borghesi in generale. Particolarmente grande è l’importanza del lavoro che deve garantire l’influenza del partito tra i contadini. Il partito comunista deve assicurarsi l’appoggio completo degli strati delle campagne che sono più vicini al proletariato, e specialmente degli operai agricoli e dei contadini poveri. Perciò è necessario organizzare a parte il bracciantato, dargli un appoggio di ogni genere nella lotta contro la borghesia agraria, e condurre una azione energica tra i piccoli contadini e tra i contadini parcellari. Per rapporto agli strati medi dei contadini il partito comunista deve (nei paesi di capitalismo sviluppato) svolgere una politica che tenda a neutralizzarli. L’adempimento di tutti questi compiti da parte del proletariato, rappresentante gli interessi di tutto il popolo e dirigente delle grandi masse popolari nella loro lotta contro il giogo del capitale finanziario, è premessa necessaria della rivoluzione comunista vittoriosa.        
Dal punto di vista della lotta mondiale del proletariato, si pongono tra i più importanti compiti strategici dell’Internazionale comunista i compiti della lotta rivoluzionaria nelle colonie, semicolonie e paesi dipendenti. Questa lotta suppone la conquista alla bandiera della rivoluzione delle grandi masse della classe operaia e dei contadini delle colonie, il che non è possibile senza l’unione più stretta tra il proletariato delle nazioni oppresse e le masse lavoratrici dei paesi oppressori.  
Mentre organizza la rivoluzione contro l’imperialismo sotto la bandiera della dittatura proletaria nei paesi cosiddetti <<civili>>, l’Internazionale comunista appoggia ogni movimento contro la violenza imperialista nelle colonie, semicolonie e paesi dipendenti (ad esempio nell’America latina), fa propaganda contro ogni sorta di nazionalismo e contro il modo come gli imperialisti calpestano le razze e i popoli grandi e piccoli ch’essi hanno resi schiavi, e sostiene la lotta di questi popoli e di queste razze contro la borghesia dei paesi oppressori. Con particolare energia l’Internazionale comunista combatte contro il nazionalismo tra i popoli delle grandi potenze, contro il nazionalismo che viene predicato tanto dalla borghesia imperialista come dalla sua agenzia socialdemocratica, dalla Seconda Internazionale, e contrappone continuamente alla pratica della borghesia imperialista la pratica dell’Unione Sovietica, che ha stabilito dei legami fraterni tra i popoli eguali nei loro diritti.        
Nei paesi dell’imperialismo i partiti comunisti devono dare un aiuto sistematico ai movimenti rivoluzionari per la liberazione delle colonie, e ai movimenti delle nazionalità oppresse in generale. L’obbligo di dare a questi movimenti l’aiuto più attivo incombe in prima linea agli operai del paese da cui la nazione oppressa dipende finanziariamente ed economicamente o politicamente. I partiti comunisti devono riconoscere il diritto delle colonie alla separazione, devono fare propaganda per questa separazione, cioè propaganda per l’indipendenza delle colonie dallo Stato imperialista, per il riconoscimento del diritto delle colonie a difendersi contro l’imperialismo (diritto all’insurrezione e alla lotta rivoluzionaria), devono predicare e sostenere attivamente questa lotta con tutti i mezzi possibili. Questa linea è obbligatoria per i partiti comunisti e verso tutti i popoli oppressi.        
Nelle colonie e semicolonie i partiti comunisti devono combattere nel modo più ardito e conseguente contro l’imperialismo straniero e fare propaganda incessante dell’idea dell’avvicinamento e dell’alleanza col proletariato dei paesi imperialisti; devono lanciare apertamente, diffondere e realizzare la parola d’ordine della rivoluzione agraria, guidando le grandi masse dei contadini all’abbattimento del giogo dei grandi proprietari e combattendo contro l’influenza reazionaria e medioevale dei preti, delle missioni e simili.
Obiettivo fondamentale è in questo campo l’organizzazione indipendente degli operai e dei contadini (partito comunista di classe del proletariato, sindacati, leghe e comitati di contadini, soviet, quando esista una situazione rivoluzionaria, ecc.), e la liberazione di esse dall’influenza della borghesia nazionale, l’accordo temporaneo con la quale è ammissibile solamente in quanto essa non ostacoli l’organizzazione rivoluzionaria degli operai e dei contadini e conduca una lotta effettiva contro l’imperialismo.     
Nel determinare la propria linea tattica ogni partito comunista deve valutare la situazione concreta interna ed esterna, i rapporti reciproci delle forze di classe, il grado di solidità e di forza della borghesia, il grado di preparazione del proletariato, la posizione degli strati intermedi, ecc. In relazione con tutte queste condizioni il partito determina le sue parole d’ordine e i metodi della sua lotta, partendo dalla necessità di mobilitare e organizzare le masse più vaste che sia possibile nel punto più alto possibile di questa lotta. Lanciando una serie di parole transitorie nel momento in cui si crea una situazione rivoluzionaria, e presentando una serie di rivendicazioni parziali, dettate dalla situazione concreta, il partito deve subordinare queste rivendicazioni e parole d’ordine al suo fine rivoluzionario, che è la conquista del potere e l’abbattimento della società borghese capitalistica. 
Sono cose inammissibili tanto il distacco dei bisogni quotidiani e dalla lotta quotidiana della classe operaia, quanto la limitazione dell’attività del partito a questi bisogni quotidiani e a questa lotta quotidiana. Il partito deve, partendo da queste piccole necessità quotidiane, condurre la classe operaia alla lotta rivoluzionaria per il potere.        
In presenza di una ondata rivoluzionaria, quando le classi dirigenti sono disorganizzate, quando vi è un fermento rivoluzionario nelle masse, quando gli strati intermedi oscillano dalla parte del proletariato e le masse sono pronte all’attacco e al sacrificio, allora si pone al partito del proletariato il compito di condurle alla lotta contro lo Stato borghese. Questo si ottiene con la propaganda di parole d’ordine transitorie sempre più acute (parola d’ordine dei soviet, del controllo operaio sull’industria, parola d’ordine dei comitati contadini per l’occupazione delle terre dei grandi proprietari,ecc.), con la organizzazione di azioni di massa, cui debbono essere subordinati tutti i lati della agitazione e della propaganda del partito, anche nel parlamento. Queste azioni di massa sono gli scioperi, la combinazione di scioperi con dimostrazioni, e, infine, lo sciopero generale unito alla insurrezione contro il potere di Stato della borghesia. Le azioni di questo genere hanno come loro premessa obbligatoria l’organizzazione di grandi masse, la forma stessa delle quali scuote e trascina al movimento il più grande numero possibile di lavoratori (soviet di deputati operai e contadini, soviet di soldati, ecc.). 
Nel passare a parola d’ordine nuove, più accentuate, è necessario attenersi alla regola fondamentale della tattica politica del leninismo. Questa regola esige che si sappiano portare le masse sopra posizioni rivoluzionarie in modo tale che le masse stesse si convincano, per la loro propria esperienza, della giustezza della linea del partito. La trasgressione di questa regola porta inevitabilmente al distacco dalle masse e alla degenerazione ideologica del comunismo in dottrinarismo di <<sinistra>>, in avventura <<rivoluzionaria>> piccolo borghese. Non meno pericoloso però è il non approfittare del punto culminante dello sviluppo di una situazione rivoluzionaria, quando si richiede che il partito del proletariato attacchi il nemico con energia e decisione. Mancare questa occasione, non dare inizio all’insurrezione, vuol dire in un momento simile lasciare l’iniziativa all’avversario e condannare la rivoluzione alla sconfitta.   
In assenza di una ondata rivoluzionaria i partiti comunisti devono, prendendo come punto di partenza i bisogni quotidiani dei lavoratori, avanzare delle parole d’ordine e delle rivendicazioni parziali, collegandole con gli obiettivi fondamentali dell’Internazionale comunista. Essi non devono però avanzare delle parole d’ordine transitorie le quali sono specialmente appropriate a una situazione rivoluzionaria e in assenza di esse si trasformano in parole d’ordine di avvicinamento e fusione con il sistema delle organizzazioni capitalistiche (ad esempio, la parola del controllo operaio, ecc.). Parole d’ordine e rivendicazioni parziali sono condizioni assolute di una giusta tattica in generale, mentre le parole transitorie sono legate indissolubilmente ala presenza di una situazione rivoluzionaria. D’altra parte la rinuncia <<di principio>> alle rivendicazioni parziali e alle parole transitorie è incompatibile con i principi tattici del comunismo, perchè condanna il partito alla passività e lo stacca dalle masse. La tattica del fronte unico, che è il mezzo più efficace di lotta contro il capitale, di mobilitazione classica delle masse, di smascheramento e isolamento dei capi riformisti, è elemento essenziale della tattica dei partiti comunisti in tutto il periodo che precede la rivoluzione.
Una giusta applicazione della tattica del fronte unico e, in generale, la soluzione del problema della conquista delle masse presuppongono, a loro volta, un lavoro sistematico e tenace nei sindacati e nelle altre organizzazioni di massa del proletariato. L’appartenenza a un sindacato, anche il più reazionario, naturalmente in mancanza di un sindacato di classe, il quale sia una organizzazione di massa, è un dovere immediato di ogni comunista. Solo con un lavoro costante e conseguente nei sindacati e nelle officine, per la difesa più ferma ed energica degli interessi degli operai, solo con una lotta spietata contro la burocrazia riformista, è possibile conquistare la direzione della lotta degli operai e conquistare al partito le masse operaie organizzate nei sindacati.        
Lungi dal fare una politica di scissione, come i riformisti, i comunisti difendono in ogni paese e internazionalmente l’unità dei sindacati sulla base della lotta di classe, appoggiando in tutti i modi e rafforzando il lavoro dell’Internazionale sindacale rossa.
Combattendo dappertutto in difesa dei bisogni immediati e quotidiani della massa operaia e della massa dei lavoratori in generale, utilizzando ai fini dell’agitazione e della propaganda la tribuna rivoluzionaria del parlamento borghese, subordinando tutti i compiti particolari agli scopi della lotta per la dittatura del proletariato, i partiti dell’Internazionale comunista presentano delle rivendicazioni e parole d’ordine parziali nei seguenti campi fondamentali.       
Nel campo delle questioni operaie nel senso stretto della parola, problemi di lotta economica (lotta contro gli attacchi del capitale trustificato, questioni del salario, della giornata di lavoro, dell’arbitrato obbligatorio, della disoccupazione) i quali si trasformano in problemi di lotta politica generale (grandi conflitti industriali, diritto di coalizione e di sciopero, ecc.); problemi che hanno un carattere politico diretto (imposte, rincaro della vita, fascismo, persecuzione dei partiti rivoluzionari); infine, problemi di politica mondiale (rapporti con l’URSS e con le rivoluzioni coloniali, lotta per l’unità del movimento sindacale internazionale, lotta contro l’imperialismo e il pericolo di guerra, preparazione sistematica alla lotta contro la guerra imperialistica).
Nel campo delle questioni contadine le rivendicazioni parziali devono essere relative alla politica fiscale, al debito ipotecario dei contadini, alla lotta contro il capitale usurario, alla fame di terra dei contadini piccoli proprietari, all’affitto, alle prestazioni personali, ecc. Partendo da questi bisogni parziali, il partito comunista deve acutizzare le parole d’ordine relative ad essi, generalizzarle nella parola della confisca delle terre dei grandi proprietari e nella parola del governo operaio-contadino (sinonimo di dittatura proletaria nei paesi capitalistici avanzati, sinonimo di dittatura democratica del proletariato e dei contadini nei paesi arretrati e in una serie di colonie).        
Egualmente è necessario condurre un lavoro sistematico tra la gioventù proletaria e contadina (principalmente attraverso l’Internazionale giovanile comunista e le sue azioni) e tra le donne, operaie e contadine, partendo dalle loro condizioni particolari di vita e di lotta e collegando le loro rivendicazioni con le rivendicazioni generali e con le parole d’ordine di lotta del proletariato.    
Nel campo della lotta contro l’oppressione dei popoli coloniali i partiti comunisti devono, nelle colonie stesse, agitare delle rivendicazioni parziali, dettate dalla particolare situazione delle colonie, come: piena eguaglianza di diritti di tutte le nazionalità e di tutte le razze; soppressione di tutti i privilegi per gli stranieri; libertà alle organizzazioni operaie e contadine; riduzione della giornata di lavoro; proibizione del lavoro dei bambini; abolizione delle obbligazioni servili; diminuzione e soppressione dell’affitto; diminuzione delle imposte; ecc. Tutte queste parole d’ordine parziali devono essere subordinate alle rivendicazioni fondamentali dei partiti comunisti, e cioè: indipendenza politica completa del paese e cacciata degli imperialismi, governo degli operai e dei contadini, la terra a tutto il popolo, giornata di lavoro di otto ore, ecc. Nei paesi imperialisti i partiti comunisti sono obbligati ad appoggiare questa lotta delle colonie, a condurre una campagna per il richiamo delle truppe imperialiste, a fare propaganda in difesa dei paesi oppressi che combattono per la propria liberazione, a mobilitare le masse per questi obiettivi con scioperi e altre forme di protesta di massa, ecc. L’Internazionale comunista deve dedicare un’attenzione particolare alla preparazione sistematica della lotta contro il pericolo delle guerre imperialiste. Smascherare senza pietà il socialnazionalismo, il socialimperialismo, le frasi pacifiste che mascherano i piani imperialisti della borghesia; fare propaganda delle parole fondamentali dell’Internazionale comunista; fare ogni giorno un lavoro organizzato in questo senso.     
Per il coordinamento del lavoro rivoluzionario e dell’azione rivoluzionaria e per la migliore direzione di essi è necessaria al proletariato una disciplina internazionale di classe, di cui è condizione essenziale la più severa disciplina internazionale delle file comuniste. Questa disciplina comunista internazionale deve tradursi nella subordinazione degli interessi parziali e locali del movimento ai suoi interessi generali e permanenti, e nell’applicazione senza riserve da parte di tutti i comunisti delle decisioni degli organi dirigenti dell’Internazionale comunista. Al contrario di ciò che avviene nella Seconda Internazionale socialdemocratica, nella quale ogni partito è sottomesso alla disciplina della <<propria>> borghesia nazionale e della sua <<patria>>, le sezioni dell’Internazionale comunista non conoscono che una disciplina, la disciplina del proletariato internazionale, la quale assicura un esito vittorioso alla lotta degli operai di tutti i paesi per la dittatura proletaria mondiale. Al contrario della Seconda Internazionale, la quale scinde i sindacati, combatte contro i popoli coloniali e pratica l’unità con la borghesia, l’Internazionale comunista è un’organizzazione la quale si erge in difesa dell’unità dei proletari di tutti i paesi, in difesa dell’unità dei lavoratori di tutte le razze e di tutte le nazionalità nella loro lotta contro il giogo dell’imperialismo.     
I comunisti con devozione e coraggio assoluti combattono questa lotta su tutti i settori del fronte internazionale di classe, nonostante la repressione della borghesia, fermamente convinti che la vittoria del proletariato è inevitabile e ineluttabile.

<< I comunisti ritengono indegno dissimulare le loro opinioni e i loro propositi. Essi dichiarano apertamente che i loro scopi possono essere realizzati soltanto con l’abbattimento di tutto l’ordine sociale contemporaneo.   
<< Tremino le classi dominanti davanti alla rivoluzione comunista!        
I proletari possono perdere in essa soltanto le loro catene. Essi si conquisteranno tutto il mondo.
<< Proletari di tutti i paesi, unitevi !>>.

 




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