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ED ORA, COMPAGNI, CHE FARE?

Ho letto su Facebook nella pagina nazionale di Potere al Popolo un post a firma di Carla Corsetti dal titolo «SERVITÙ VOLONTARIA» e penso di dover e poter dare il mio contributo ad una discussione da sempre evitata o mal impostata, riguardo al «che fare» prima che sia troppo tardi. Bene, nel post è scritto “I media sono determinanti per la costruzione del consenso. E questo è un dato di partenza incontestabile. Le persone che hanno visto diminuire i propri diritti, generalmente si attaccano proprio a quei partiti che glieli hanno tolti, e anche questo è un dato  incontrovertibile. Le risposte ai problemi che offre la sinistra radicale, sono risposte che impegnano, che non delegano  acriticamente ad altri, ma presuppongono attivismo e partecipazione diretta, senza talk show, ma azioni concrete.”  presumo a seguito del pessimo risultato elettorale che «Potere al Popolo» ha ottenuto  (ma non solo e non da solo) in Emilia-Romagna domenica scorsa. Poi arriva, puntuale, la stoccata al movimento delle Sardine: “I rappresentanti delle sardine sono per il Jobs Act, sono per il PD, sono per le trivelle e dunque sono per la devastazione ambientale. Nicoletta ha dato una risposta politica, e noi siamo con lei. Le sardine sono per la devastazione che determinerà cancro per tutti gli abitanti della Val di Susa. Chiediamoci perché le persone sono per i partiti che lucrano sulle devastazioni ambientali e non con chi lotta anche per evitargli il cancro.” Per concludere categoricamente: “Io una risposta ce l'ho: si chiama servitù volontaria.” e così rinunciare ad articolare le posizioni espresse. Parlo di posizioni espresse perché secondo me il ragionamento si muove su più piani – assolutorio, acritico, rancoroso – che avrebbero dovuto essere analizzate e poi aggiungo che allo stesso ragionamento non viene data risposta allorquando la compagna Carla scrive “chiediamoci perché” ma non accenna ad una risposta. 

Provo a sintetizzare il mio pensiero sui tre punti di cui sopra: 

  1. atteggiamento assolutorio nel momento in cui si afferma che i media sono in maniera incontestabile determinanti per la costruzione del consenso; il fatto, quindi, che i comunisti non ne abbiano (anche se in edicola ed on line si può leggere “Il manifesto”) impedisce loro la propagazione del pensiero e delle iniziative politiche? Ed i network  ed i social media a cosa servono? E le assemblee nei territori a cosa servono?
  2. atteggiamento acritico nel momento in cui si afferma che le persone che hanno visto diminuire i propri diritti, generalmente si attaccano in maniera incontrovertibile proprio a quei partiti che glieli hanno tolti. Di incontrovertibile in politica non c'è nulla ed è sbagliato non solo scriverlo ma anche pensarlo, ne sappiamo tutti qualcosa proprio nel caso di Matteo  Renzi – il Bonaparte – che dal 41% del paradiso è caduto a terra e sta ancora rotolando oppure nel caso attualissimo della discesa agli inferi di Luigi Di Maio e del suo movimento; chi prima li ha  votati e poi abbandonati sta incontrovertibilmente dimostrando che le scelte in politica sia dall’alto che dal basso sono ampiamente controvertibili, pensiamo solo al fatto che in Calabria neanche tutti i percettori del reddito di cittadinanza hanno votato M5S. Perché non ci si chiede, invece, come centinaia di migliaia di persone facciano questa scelta non recependo i messaggi che arrivano loro (come arrivano? quanti ne arrivano? da chi arrivano?)  da parte di forze politiche che si richiamano in varie maniere al comunismo?
  3. atteggiamento rancoroso nei confronti del movimento delle Sardine per nulla giustificato se non chiaramente motivato in ottica di contrapposizione politicamente invidiosa. Questi ragazzi, al momento decisamente meno organizzati sul piano mediatico e tecnologico rispetto a PaP, sono stati capaci – semplicemente usando i social media – di interessare, coinvolgere ed organizzare decine di migliaia di persone in ogni piazza d'Italia dall’oggi al domani riuscendo finanche a smuoverne dall’astensionismo centinaia di migliaia alle ultime elezioni regionali in Emilia-Romagna (ma non in Calabria). Resta fermo il fatto che sono un movimento spontaneo di orientamento borghese ed io mi sarei aspettato una riflessione sul fatto che in queste piazze erano, sono, presenti anche tante compagne e tanti compagni senza tessera e semmai con alle spalle decenni di militanza politica a partire dagli anni sessanta e settanta; anche questo avrebbe dovuto essere motivo di riflessione. 

Provo, ora, a fare sinteticamente le mie considerazioni ed a dare la mia visione del “problema dei problemi” con la speranza di aprire una discussione tra compagni che non sia… assolutoria, acritica, rancorosa…ma fruttuosa ed utile alla ricomposizione di classe e del blocco sociale di riferimento dei comunisti. Il 7 dicembre 2019  ho partecipato a Roma all’assemblea nazionale unitaria delle Sinistre di opposizione, ricavandone un’impressione sconfortante: incontro autoreferenziale, per pochi intimi, molti slogan, idee urlate e nessun programma minimo su cui costruire unità d’azione. Il recupero del motto “marciare divisi, colpire uniti” ci è stato nefando: quattro partiti presenti in tre liste alle elezioni in Emilia-Romagna hanno marciato divisi e divisi sono stati colpiti!! Ho fatto questo esempio per arrivare a snodare il mio ragionamento: innanzitutto i comunisti devono essere credibili al loro interno, agli occhi delle migliaia di compagni che sono frazionati in una miriade di partitini ormai autoreferenziali, dogmatici, velleitari, ed i cui gruppi dirigenti alimentano la corsa – per puro impulso testimoniale o per mera illusione egemonica – al settarismo ed all’estremismo; essi devono poi, all’esterno, recuperare dapprima decine di migliaia di compagni stanchi, disillusi, demotivati, frastornati da tanta pochezza teorica, dall’assenza di un’analisi concreta delle situazioni concrete e di un conseguente programma unitario condiviso che sia fattivamente alla base dell'unità di azione finalizzata ad intercettare i bisogni di milioni di donne ed uomini. Ma all’esterno ci sono milioni di donne ed uomini, che soffrono e pagano la crisi che non si accorgono dei comunisti; e non solo perché i comunisti non posseggono giornali e televisioni oppure perché gli italiani sono talmente ignoranti da non capire quale potrebbe essere il partito da votare perché rappresentativo delle proprie aspirazioni al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. La responsabilità politica della lontananza dai bisogni e dalle esigenze delle masse popolari, dell’inconsistente presenza in termini elettorali dei comunisti, della devastante mancanza di un Partito Comunista forte e radicato che in questo momento storico ed in questa fase di recessione economica che colpisce le fasce sociali più deboli possa concretamente essere riconosciuto come il partito al fianco dei più deboli, ricade interamente sui  gruppi dirigenti degli attuali partiti che si richiamano al comunismo. Percepiti dagli italiani come settari, frazionati ed in lotta tra di loro non per l’egemonia ma per la sopravvivenza testimoniale, vengono ritenuti inutili ad incidere sia nelle realtà territoriali che anche a livello nazionale: quando un nemico è politicamente forte oppure quando la battaglia è decisiva il cittadino che ha voglia di partecipare, di difendere i suoi diritti, di dare con convinzione un contributo al Paese si schiera incontrovertibilmente con il partito più forte ed organizzato che in un quel momento possa arginare o sconfiggere il nemico. Ma ci sono ancora milioni di italiani che hanno perso la fiducia nei partiti politici (nel caso dei partiti comunisti chiediamoci perché, rimpiangendo Berlinguer, in moltissimi che votarono quel simbolo e quel partito ora restano a casa) e che sono lontani dalla politica, rassegnati a vivere alla giornata aspettando che chi vinca conceda qualcosa. E ci sono anche italiani che ignorano le motivazioni politiche ed i programmi politici dei partiti, tutti, affidandosi a quello che leggono acriticamente sui giornali oppure che distrattamente sentono in televisione ai quali, beninteso, i comunisti non riescono a far pervenire alcun messaggio politico così come altri, pericolosi tribuni nazifascisti, riescono invece a stimolare l’interesse proprio verso il nemico che è quello che i comunisti hanno per amico. A questa logica da guerra tra poveri – che ha tremendamente presa proprio sulla fascia, sempre più numerosa, di italiani che ho sopra definito “ignoranti” (dal greco “αγνοώντας” che ignorano) – i comunisti non sono in grado di dare risposte (non solo su questa tematica) perché non in grado di essere “forza d’urto” coesa ed organizzata tale da raggiungere ogni angolo del Paese, di parlare con lo stesso comprensibile e non rancoroso linguaggio, di trasmettere un forte senso di partito unito ed unico che ha un programma che sa diffondere, che lo sa leggere, lo sa spiegare, sa farlo capire, di fornire agli italiani una proposta politica univoca per lo sviluppo economico, per la redistribuzione del reddito, per la giustizia sociale, per il bene comune. In aggiunta a tutto questo, i comunisti non hanno compreso  – a mio modesto parere – la fase storica che il Paese sta attraversando e questo mina alle fondamenta qualsiasi proposito di unità d’azione: il nemico alle porte è il fascismo, il  progetto politico da annientare è la fascistizzazione della società civile. Di fronte a questo nemico non serve sbandierare purezza ideologica, rinchiudersi nelle proprie certezze o nelle proprie assemblee, peggio ancora invitare all'astensionismo con la folle presunzione di abbattere il sistema puntando ad organizzare (in cinquemila, forse) le lotte di milioni di lavoratori, disoccupati, inoccupati, giovani, donne, migranti ed emarginati su tutto il territorio nazionale. E allora, che fare? Vista la premessa relativa al nemico da abbattere e lo stato di debolezza che i comunisti stanno vivendo, essi devono puntare ad organizzare un fronte unito antifascista con altre forze borghesi democratiche e progressiste (movimento delle Sardine incluso) in modo tale da tornare ad essere protagonisti sulla scena politica in un ottica di più ampia collaborazione con altre forze che rifiutano autoritarismo, sovranismo ed elitarismo con il vantaggio di essere percepiti dai cittadini dalla parte giusta perché a lottare insieme con altri partiti contro la reazione piuttosto che da soli ad urlare contro tutti e tutto confondendo loro le idee ed impedendo di fatto una serena e compiuta valutazione dell’agire politico. In tal modo è possibile elaborare l’obiettivo strategico di puntare all’egemonia nel contesto delle alleanze politiche tattiche ma anche del lavoro svolto in comune ed in maniera capillare sui territori. Ma per porsi con convinzione e serenità quest’obiettivo bisogna, prima, porsene un altro: riunire tutti i comunisti, ovunque oggi collocati, in un solo Partito Comunista. Questo passo, però, oggi è prematuro farlo perché manca la voglia di parteciparvi, la capacità di organizzarlo e lo spirito rifondativo unitario  sia dal basso che dall’alto, in una cinghia di trasmissione partito-masse. Proponibile, però, una Federazione tra le varie forze che si richiamano al Socialismo ed al Comunismo secondo gli insegnamenti di Karl Marx e di Friedrich Engels che consenta ad ognuno di mantenere la propria identità ma anche di gettare le basi per un processo condiviso di unità. Altro non vedo se non l’oblio!!

 

 

 

 




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