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MARXISMO, AMBIENTE E LAVORO

Un partito verde, unicamente ecologista e sganciato dalle dinamiche sociali, non ha ragione di esistere nella sinistra politica italiana, europea, mondiale. La teoria marxista già contiene strumenti indispensabili per comprendere meglio le cause dell’odierna crisi ambientale, l’interesse di Karl Marx e di Friedrich Engels per i rapporti uomo-natura non deve affatto stupire, poiché entrambi furono contemporanei di grandi naturalisti come Justus von Liebig, Charles Darwin, Ernst Haeckel, che essi ricordano e citano. Nel più importante degli scritti giovanili di Marx, i Manoscritti economico-filosofici del 1844, questi cercò di dare sistematicità al suo pensiero analizzando l’intreccio fra “naturalismo” e “comunismo” laddove l’assunto principale è che l’uomo risulta parte della natura e questa caratteristica originaria non viene soppressa dall’attività della specie umana che mediante il lavoro modifica sé stessa e la natura circostante. L'ambiente nella teoria marxista è la natura che l'uomo utilizza per estrarre le risorse e che modifica a proprio piacimento, essa fornisce all'uomo le risorse naturali necessarie per la produzione, in particolar modo la terra, le risorse agricole e quelle minerarie. Le attività economiche consentono di trasformare il valore intrinseco della natura in un valore d'uso per l'uomo, rendendo lecita qualsiasi attività di trasformazione ambientale purché tesa a migliorarne le condizioni di vita. Il metodo di produzione capitalistico impone, tuttavia, una profonda alienazione agli esseri umani che si trovano così completamente distaccati dall’ambiente naturale. I marxisti accettano l'idea che l'uomo possa migliorare il sistema ambientale per aumentare il benessere sociale, trasformando e umanizzando la natura. Sia gli economisti classici che gli economisti marxisti sono consapevoli della scarsità delle risorse naturali e condividono una sorta di pessimismo di lungo periodo nel quale il sistema economico tende verso uno stato di equilibrio stazionario e l'ambiente diventa un limite materiale alla crescita economica. Secondo Marx la progressiva scarsità delle risorse accentua la lotta e il conflitto di classe tra lavoratori e capitalisti, i quali, per contrastare la caduta del saggio di profitto, sono costretti ad aumentare lo sfruttamento del lavoro e ad investire nelle tecnologie “save-labour”.  Sempre nei Manoscritti economico-filosofici  le suggestioni “ecologiche” continuano approfondendo le conseguenze dell’alienazione imposta dai rapporti di produzione capitalistici: “Poiché il lavoro estraniato rende estranea all’uomo la natura e l’uomo stesso; la sua propria funzione attiva, la sua attività vitale, rende estraneo all’uomo la specie; fa della vita della specie un mezzo della vita individuale […].” Solo il comunismo può sopprimere questa alienazione, realizzando una riconciliazione dell’uomo con l’uomo e della specie con la natura. Se in regime di economia capitalistica, soprattutto nel settore agricolo, si verificano sprechi colossali, Marx scorse nella socializzazione dei beni della natura una soluzione all’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali. Nel terzo volume del “Capitale” egli affermò che gli individui non sono proprietari della terra che è stata loro affidata perché la conservino, migliorandola se opportuno, in modo tale che anche le generazioni future possano goderne appieno. Elemento cardine di questa primordiale concezione di “sostenibilità” è un drastico cambiamento delle relazioni fra l’uomo e la natura attraverso un mutamento dei rapporti di forza tra gli uomini.“Il comunismo come soppressione positiva della proprietà privata intesa come autoestraneazione dell’uomo, e quindi come reale appropriazione dell’essenza dell’uomo mediante l’uomo e per l’uomo; perciò come ritorno dell’uomo per sé, dell’uomo come essere sociale, cioè umano, ritorno completo, fatto cosciente, maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi. Questo comunismo (…) è la vera risoluzione dell’antagonismo tra la natura e l’uomo, tra l’uomo e l’uomo”. Sia Marx che Engels diedero particolare rilievo alle condizioni di vita degli operai nelle città industrialiaccusando il capitalismo di acuire la separazione fra città e campagna. In particolare Engels, nel saggio “La situazione della classe operaia in Inghilterra” del 1845, sottolineava come anche la popolazione, come il capitale, subisse un processo di accentramento, dato che l’operaio veniva considerato soltanto come una porzione del capitale messa a disposizione del fabbricante: gli operai erano destinati a diventare così semplicemente mano d’opera facilmente accessibile all’impresa capitalistica. Per Marx tutto questo comportava una “rottura” dell’originale vincolo di parentela che legava agricoltura e manifatture. “Con la proporzione sempre crescente della popolazione urbana che la produzione capitalistica accumula nei grandi centri essa (…) turba il ricambio organico fra uomo e terra (…) turba dunque l’eterna condizione di una durevole fertilità del suolo. Così distrugge insieme la salute fisica degli operai urbani e la vita intellettuale dell’operaio rurale (…) Come nell’industria urbana, così nell’agricoltura moderna, l’aumento della forza produttiva e la maggiore quantità di lavoro resa (…) vengono pagate con la devastazione e l’ammorbamento della stessa forza-lavoro.” Nel saggio “Anti-dühring” del 1878, Engels tracciò un possibile scenario in grado di permettere la coesistenza di un apparato industriale sviluppato e di un ambiente salubre per il lavoratore. “Solo una società che faccia ingranare armoniosamente le une nelle altre le sue forze produttive secondo un solo grande piano può permettere all’industria di stabilirsi in tutto il paese con quella dislocazione che è più appropriata al suo sviluppo e conservazione. Solo con la fusione fra città e campagna può essere eliminato l’attuale avvelenamento di acqua, aria e suolo, solo con questa fusione le masse che oggi agonizzano nelle città saranno messe in una condizione in cui i loro rifiuti siano adoperati per produrre le piante e non le malattie. La civiltà ci ha senza dubbio lasciato nelle grandi città un’eredità la cui eliminazione costerà molto tempo e molta fatica.”  Nella teoria economica marxista lo sfruttamento delle risorse naturali scarse è un ulteriore argomento per sostenere l'esistenza dello sfruttamento del proletariato e per costruire le precondizioni teoriche della nascita del socialismo. In un sistema economico socialista l'ambiente continua a svolgere la propria funzione di generatore di risorse e materie prime, le decisioni sono accentrate in un'autorità di pianificazione economica alla quale spetta il compito di decidere quali e quante risorse naturali estrarre e allocare, cosa e quanto produrre. Nel socialismo viene riconosciuta l'esistenza di un rapporto chiuso tra ambiente ed economia – definito “sistema economico circolare” – e l’economia circolare teorizza che i sistemi economici debbano essere in grado di funzionare come organismi in cui le sostanze nutrienti siano elaborate e utilizzate, per poi essere reimmesse nel ciclo sia biologico che tecnico. Nell’economia circolare, definibile anche collaborativa o condivisa, i rifiuti sono nutrimento, non esistono in quanto tali, laddove i componenti biologici e tecnici di un prodotto sono progettati col presupposto di adattarsi all'interno di un ciclo dei materiali, progettato per lo smontaggio e per la ri-proposizione; i nutrienti biologici sono atossici e possono essere semplicemente compostati e i nutrienti tecnici - polimeri, leghe e altri materiali artificiali - sono progettati per essere utilizzati di nuovo con un dispendio di energia minimo. Parimenti, la modularità, versatilità e adattabilità sono da privilegiare in un mondo che viaggi in incerta e veloce evoluzione; lavorando verso l'economia circolare ci si deve concentrare su prodotti di più lunga durata, sviluppati per l'aggiornamento, l'invecchiamento e la riparazione, in quanto sia prodotti, che materiali e sistemi, sono più resistenti di fronte a shock esterni rispetto ai sistemi costruiti solo per l'efficienza. Da ultimo si arriva alla fine dello spreco d’uso del prodotto laddove gran parte della materia trasformata in oggetti giace inutilizzata per la maggior parte della sua vita insieme con magazzini colmi di macchinari in attesa di essere dismessi, scatoloni in cantina pieni di vestiti con scarso valore affettivo, oggetti comprati e usati una volta l’anno. Nell’ottica marxista, dunque, la salvezza del pianeta non risulta compatibile con una economia capitalistica: per rendere l’ambientalismo davvero efficace è perciò necessario che i problemi ambientali fuoriescano dal campo prettamente etico per affermarsi soprattutto in campo politico e sociale. La battaglia per l’ambiente deve necessariamente inserirsi all’interno della critica della società capitalistica e portata avanti da un partito comunista.




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