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LA GLOBALIZZAZIONE: QUALI PROSPETTIVE DALLA VIA DELLA SETA?

Tra gli effetti più deleteri della globalizzazione e della libera circolazione dei capitali in tutto il mondo vi è stato, e vi è tuttora, l’abbattimento del costo del lavoro dovuto alla disponibilità di enormi sacche di manodopera a basso costo. L’ingresso della Cina nel WTO (World Trade Organization, in italiano OMC: Organizzazione Mondiale del Commercio) e l’integrazione ad est dell’Unione Europea hanno portato a più che raddoppiare, in poco più di un decennio, la forza lavoro dell’Europa occidentale, con una conseguente, potente pressione al ribasso sul livello dei salari. Tra la paga percepita in alcune zone dell’Europa e la Cina non c’è più differenza ma, se c’è, è addirittura a favore della Cina. E questo senza tenere in considerazione l’ormai imminente “sfondamento” della via della seta in Europa… Due le immediate riflessioni: la prima è che i salari cinesi stanno crescendo a gran ritmo; la seconda è che la “nuova Cina” del lavoro a basso costo è costituita dai Paesi dell’Europa dell’est, quelli che non a caso l’Unione Europea sta puntando a inglobare economicamente, politicamente e militarmente ad uso e consumo del capitale “occidentale”. Su questo specifico punto non di poco conto, la dinamica salariale, il dibattito politico e non solo economico può incanalarsi su due è strade: la potenza della “via cinese” al socialismo oppure la potenza del socialimperialismo cinese. La Cina sta raggiungendo alcune zone dell’Europa in termini di crescita salariale oppure le retribuzioni nei Paesi dell’Est entrati più di recente nell’Unione europea sono schiacciati dalla competizione globale sul lavoro che la Cina sta vincendo a mani basse? In realtà, di primo acchito, si può essere portati a pensare che si tratti di entrambe le situazioni: le retribuzioni mensili medie cinesi a Shanghai ($ 1,135), a Pechino ($ 983) e a Shenzen ($ 938) sono più alte che in Croazia, Pese membro dell’Unione Europea dal 2013, dove stipendio mensile medio netto in Croazia è pari a $ 887 al mese. Le retribuzioni medie di Shanghai, in particolare, sono anche maggiori di quelle esistenti in due dei Paesi baltici recentemente diventati membri dell’eurozona: Lituania ($ 956) e Lettonia ($ 1,005). Per rimanere in ambito Paesi baltici la sola Estonia, che ha aderito all’euro nel 2011, registra secondo dati governativi un reddito medio di $ 1,256 al 2016. Negli ultimi 10 anni, l’Europa ha cercato di integrare dentro l’Unione europea la manodopera qualificata a basso costo dai Paesi dell’Est in funzione “calmierante” delle rivendicazioni del proletariato occidentale e nel 2002 la Cina si è pienamente integrata nella forza lavoro globale entrando a far parte del WTO. L’entrata di questi due enormi bacini di manodopera nella forza lavoro mondiale ha posto le basi per la stagnazione dei salari tra i lavoratori meno qualificati delle catene di montaggio in tutto il mondo. Gli economisti parlano di questo effetto come di un “appiattimento della curva di Phillips“ in quanto l’impatto della globalizzazione e l’ingresso della Cina nel WTO nel 2002 ha aumentato notevolmente l’offerta di manodopera globale laddove l’eccesso di offerta di manodopera cinese, unitamente al flusso di merci cinesi a basso costo nell’economia mondiale, ha da un lato creato un vantaggio per i consumatori globali ma ha anche posto in serrata competizione determinate tipologie di merci e determinati posti di lavoro dell’Europa orientale in mortale competizione col colosso asiatico che può contare su costi e prezzi più bassi. Oggi tutti i parametri economici del capitalismo mondiale si misurano in rapporto a come si muove nel mondo la Cina. Catene di approvvigionamento e mercati a parte, il costo maggiore, più oneroso, per un’azienda è la sua forza lavoro e quella cinese – soprattutto nelle arre speciali (capitalistiche) del Paese – comincia ad essere retribuita secondo parametri, come abbiamo visto, già superiori a quelle dell’Europa orientale. In questo contesto ha buon gioco il capitale nel contrapporsi anche rudemente alle lavoratrici ed ai lavoratori europei: facile dire “qualsiasi cosa tu possa fare, la Cina può farla a minor costo” benedicendo, non so fino a che punto, l’apertura alla via della seta tracciata dal governo cinese. La realtà ormai, non più disconosciuta, è che sia la Cina a stabilire il prezzo per la manodopera manifatturiera nel mentre si sta attrezzando per “sfondare” in futuro anche nel comparto della logistica relativa all’e-commerce. Paradossalmente, quindi, i lavoratori europei dovrebbero “sperare” in continui aumenti salariali da parte delle imprese cinesi per far sì che gli imprenditori per i quali lavorano – maturando la volontà di “controllare” strategicamente le istanze della propria manodopera – siano portati ad aumentare le loro retribuzioni lorde. La quota della Cina nel commercio mondiale (una media di esportazioni più importazioni) è aumentata da poco meno del 2% nel 1990 a quasi il 15% di oggi, secondo la "Bank for International Settlements" (BIS, in italiano BRI: Banca dei Regolamenti Internazionali). Da allora, l’economia di mercato cinese si è integrata all’economia globale, guidata principalmente dalla sua forza lavoro, con un rapporto capitale-lavoro inferiore agli standard globali. La Cina sta iniziando solo ora ad automatizzare. L’integrazione dell’Europa orientale in Occidente è spesso trascurata. In un arco di tempo simile, dagli anni ’90 ad oggi, i paesi dell’Europa orientale sono usciti dall’orbita della Russia e si sono spostati verso ovest. Prima della caduta del comunismo, questi paesi erano rimasti più o meno isolati. La forza lavoro era abbondante e ben istruita, ma il capitale e il management erano limitati. Ne è seguita una combinazione fruttuosa: l’Europa occidentale ha fornito i soldi e il management, l’Europa dell’Est ha fornito la manodopera a basso costo. I dati relativi all’integrazione della Cina e dell’Est Europa sono impressionanti. Contando solo la forza lavoro potenziale, la popolazione attiva in Cina e nell’Europa orientale tra i 20 e i 64 anni era di 820 milioni di persone nel 1990 e ha raggiunto 1,2 miliardi nel 2015. La popolazione attiva disponibile nei paesi europei industrializzati era di 685 milioni prima della crisi dell’Unione Sovietica nel 1990 e raggiungeva i 763 milioni nel 2014. Parliamo quindi di un aumento una tantum del 120% della forza lavoro, che ha schiacciato i salari per i lavoratori meno qualificati, secondo la BIS. Usando come indicatore queste tre città cinesi, gli stipendi mediani dei lavoratori dipendenti sono più alti dei salari della parte più povera d’Europa: i vecchi Balcani dell’area comunista. Proprio sul Mar Adriatico, di fronte alla ricca frontiera italiana, si trova una manodopera di tipo cinese. Anzi ancora più economica, in realtà. I lavoratori cinesi a Shanghai, Shenzhen e Pechino, in media, guadagnano più dei lavoratori in Albania, Romania, Bulgaria, Slovacchia e Montenegro, nuovo paese membro della NATO, che ha un reddito medio di appena $ 896 al mese. I salari medi di Shanghai non sono molto diversi da quelli della Polonia, a $ 1,569. Lo stesso vale per la Repubblica Ceca, dove lo stipendio medio a Praga, la sua città più ricca, si aggira intorno a $ 1400. Il salario medio lordo dell’Ungheria sta proprio al livello di Shanghai, a $ 1139 al mese. La crescita dei salari in Cina è impressionante. Ottimo per i cinesi. Ma ha lasciato indietro la crescita dei salari in molti dei paesi a basso reddito in Europa. Ciò che questi numeri dimostrano è che il ruolo della Cina come centro manifatturiero ha sconquassato il mercato capitalistico europeo ponendo le basi per una vera e propria “doppia rottura” tra Paesi ad economia sviluppata e Paesi ad economia in via di riconversione ma anche tra operai specializzati ed operai non qualificati: qualsiasi aumento futuro delle retribuzioni sarà ritenuto dagli imprenditori europei del comparto manifatturiero necessario per la forza lavoro qualificata e marginale per quella non qualificata. Analoga prospettiva a venire viene valutata come possibile anche, ben presto, in altri nuovi settori come l’e-commerce. Le prime, prossime, risposte arriveranno lungo la “via della seta” che potrebbe realisticamente trasformarsi da tanto atteso processo di apertura dei mercati cinesi al capitale europeo (e non solo) a devastante invasione del capitale cinese nei mercati europei.

(fonte dati statistici: Forbes)

Salerno, 12 ottobre 2018




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