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IN ITALIA IL PROBLEMA NON È IL COSTO DEL LAVORO

Affrontare il problema dei salari per rilanciare l'Italia e per stimolare la crescita bisogna alzare gli stipendi. Il nostro è l'unico tra i grandi Paesi europei ad aver registrato un calo dei salari negli ultimi trent'anni: nel 2022 il salario medio è stato più basso del dato del 1991. Ma l'Italia è anche uno dei Paesi con il cuneo fiscale più alto, pari al 45,9% del costo del lavoro, superata però da Francia e Germania che hanno comunque dei salari medi molto più alti e una crescita continua. In effetti, non si può dire che in Italia il problema siano (solo) le tasse sul lavoro perché esiste un problema di ragione strutturale: il sistema occupazionale italiano non è in grado di combattere la disoccupazione e il lavoro precario. Secondo il progetto di ricerca «Global Attractiveness Index» – sviluppato dal forum The European House Ambrosetti – solo il 13% dei disoccupati trova lavoro nel trimestre successivo ed è il terzo peggior risultato in Europa dopo Grecia e Slovacchia: chi perde il lavoro ci mette troppo tempo a ritrovarlo. Altro problema è dato dal precariato: in Italia il 6% dei contratti a tempo determinato vengono convertiti a tempo indeterminato. Non è solo una questione di prospettive di vita in quanto il tempo determinato, nel settore privato, spesso vuol dire stipendi più bassi: il 20,1% dei residenti in Italia – 11,8 milioni di persone – è a rischio povertà e l'11,4% della popolazione, nonostante lavori, è comunque a rischio povertà. Esiste un punto centrale intorno al quale ruotano i problemi economici e sociali in Italia: bisogna aumentare i salari, il che non serve solo a rispettare la Costituzione ma anche a rilanciare il Paese perché stipendi più alti si traducono in maggiori consumi e maggiore gettito per lo Stato, quindi anche in maggiore Pil nazionale. Secondo i calcoli contenuti nel report, se le retribuzioni lorde italiane aumentassero del 50% del gap che c'è in questo momento con quelle tedesche, la crescita sarebbe di 74 miliardi di euro, con un aumento dei consumi del 4,8%, e del Pil del più 3,8%. Questo genererebbe un aumento del gettito fiscale del 12%, per un totale di 65,2 miliardi di euro in più nelle casse dello Stato. Ma, allora, ci si potrebbe chiedere: così sorgerebbe il problema della sostenibilità economica delle imprese? La risposta è semplice e sfidante. Mantenere gli attuali livelli salariali solo per garantire la sopravvivenza delle aziende, senza chiedersi se sia accettabile avere interi comparti economici basati interamente sul semi-sfruttamento, non è la strategia più opportuna per un Paese che vuole essere solidaristico. Alla fine il problema è dato dal governo attuale che annullando la solidarietà tra le classi sociali e le generazioni, sta consolidando il profitto al capitale finanziario, sta forzando l’offerta di lavoro a bassi salari in un quadro complessivo di precariato.




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