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IL PIL, IL DEBITO PUBBLICO, LO SPREAD, LO SVILUPPO.
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- Di Comintern
- Venerdì, 12 Dicembre 2025 13:45
Il dato relativo al prodotto interno lordo (Pil) è fondamentale nella politica economica di un Paese in quanto valore determinante su cui agire sia per rientrare dal debito pubblico che per ridurre il rapporto Pil/debito pubblico. Due le strade da poter percorre per agire sul Pil, alternative tra di loro: (1) ripagare il debito pubblico per diminuirlo nei confronti del Pil oppure (2) incrementare il Pil per ridurre il rapporto con esso del debito pubblico. Per il governo era e resta una scelta decisiva da prendere. Nel primo caso, limitandosi ad un taglio delle tasse per ridurre la pressione fiscale ma senza creare squilibri nella finanza pubblica, bisognerebbe operare veri e propri tagli alla spesa pubblica che renderebbero vani i piani economici del governo legati all’utilizzo dei soldi ricevuti dal «Recovery Fund» che vincola l’utilizzo delle risorse finalizzato agli investimenti pubblici laddove, segnatamente per il nostro Paese, questa strada deve essere percorsa con decisione anche per attivare investimenti privati con l’obiettivo strategico di rilanciare un deciso sviluppo produttivo. Nel secondo caso, diventa necessario lo sforamento dei parametri europei sul debito pubblico agganciato, però, ad un cambio radicale di politica economica. Quest'ultima è l'unica via da percorrere a patto, però, che il governo punti su massicci investimenti pubblici ed orienti quelli privati, aumenti la spesa pubblica con un deciso incremento delle assunzioni nella Pubblica Amministrazione, settore nel quale siamo molto indietro rispetto ai principali partner di riferimento, rilanci lo sviluppo produttivo, spinga per aumenti salariali e per l’incremento delle esportazioni, favorisca nel contempo un aumento, regolato, dell'inflazione posto che la stessa BCE spinge per puntare a soglia 2% - obiettivo finale - che metta in moto la ripresa dei consumi. Dalle analisi effettuate e dalle previsioni fornite dalla BCE, l’inflazione in area euro - attestata a 2,1% ad ottobre è stimata a 2,2% a novembre - dovrebbe arrivare al 2,0% nel 2025 e raggiungere un valore dell’1,9% nel 2026. Infatti, un’inflazione, superiore al 2% ma soprattutto un’inflazione negativa (ovvero deflazione) sono, al contrario, molto dannose per l’economia in quanto generano incertezza e sfiducia degli operatori, situazioni che possono determinare comportamenti non ottimali per il contesto economico: l’inflazione eccessiva può determinare un contesto di sfiducia, generare un rialzo dei tassi di interesse e frenare gli investimenti o i consumi; la deflazione è ancora peggiore perché porta all’immobilismo e induce imprenditori e consumatori a pensare che comprare o investire domani sia meglio che farlo oggi, dal momento che i prezzi e i costi scenderanno e questa situazione genera un calo della crescita e conduce quasi inevitabilmente alla recessione. Un’inflazione vicino al 2% è inoltre favorevole per i paesi con elevati stock di debito, e quindi per l’Italia, mentre la deflazione è molto negativa per lo stesso motivo. Infatti lo stock di debito pubblico accumulato e da finanziare con nuove emissioni di titoli obbligazionari, è solitamente a prezzi costanti, restando quindi invariato nel tempo, mentre a prezzi correnti avviene il calo del Pil che è composto da valori che vengono aggiornati, nel caso in questione negativamente, con l’inflazione. La crescita del Pil può, quindi, essere inflazionata e ciò favorisce il riequilibrio degli indici di debito (Debito/Pil) che tendono a scendere. Sono, intanto, arrivati i primi dati forniti da Bankitalia: alla fine del periodo in esame - a settembre 2025 - il debito pubblico si è attestato a 3.081 miliardi di euro rispetto ai 2.963 miliardi di euro dello stesso mese dello scorso anno, crescendo quindi di 118 miliardi di euro. Il debito pubblico dovrebbe chiudere l'anno intorno a quota 3.113 miliardi di euro, il rapporto Debito/Pil dovrebbe attestarsi intorno al 139% (fonte Trading Ecinomics) e toccare quota 139,8% nel 2036 e quota 140,5% nel 2027. Con riferimento alle due strade, sopra individuate, che il governo italiano può imboccare per agire sul Pil - sia per rientrare dal debito pubblico che per ridurre il rapporto Pil/debito pubblico - la scelta di politica economica è stata quella di ripagare il debito pubblico per diminuirlo nei confronti del Pil, limitandosi ad un taglio delle tasse per ridurre la pressione fiscale ma senza creare squilibri nella finanza pubblica, operando veri e propri tagli alla spesa pubblica che stanno rendendo vani i piani relativi all’utilizzo dei soldi ricevuti dal «Recovery Fund» che sono vincolati l’utilizzo delle risorse finalizzato agli investimenti pubblici. Ma per il nostro Paese, la strada che deve essere necessariamente percorsa con decisione è, invece, quella di spingere con forza sugli investimenti pubblici anche per attivare investimenti privati con l’obiettivo strategico di rilanciare un deciso sviluppo produttivo. In questo possente obiettivo possono essere di aiuto le somme stanziate dal «Recovery Fund» solo se in aggiunta, però, ad un'azione altrettanto possente che incida su reddito e consumi delle famiglie italiane. Lo sviluppo produttivo, infatti, dipende dalla domanda che a sua volta dipende dal reddito, che è uguale alla produzione. Bisogna generare un effetto moltiplicatore: l'incremento della domanda fa aumentare la produzione; l'aumento della produzione porta a un aumento del reddito dello stesso ammontare, dato che domanda e produzione sono identicamente uguali in quanto assumono lo stesso valore per qualsiasi numero assuma la variabile; la crescita del reddito aumenta ulteriormente il consumo che a sua volta genera un aumento della domanda e così via. Politica, questa, decisiva per contrastare con efficacia la politica dei dazi apposti dagli Usa senza cadere nella trappola della contromisura ma puntando su un forte incremento della domanda interna. Se continua a persistere, invece, come in questa fase, la crisi in Germania - con rallentamento economico, problemi industriali e piano di spesa - in combinazione con fattori interni italiani - quali stabilità politica, politica economica restrittiva, austerità finalizzata al miglioramento conti pubblici - c'è per il governo il vantaggio di vedersi migliorato il rating - come fatto da Fitch e da Moody's - con lo spread BTP-Bund, ai minimi dal 2009, sotto i 70 punti base a dicembre 2025 ma anche il rischio (diventato realtà) di compromettere l’efficacia degli eventuali stimoli alla domanda e quindi comprimere il Pil, le cui variabili più importanti sono, appunto, i consumi in quanto parte più importante degli impieghi e gli investimenti perché rappresentano il potenziale produttivo del Paese.