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SI PUÒ ANDARE OLTRE IL TRATTATO DI DUBLINO

Il Trattato di Dublino è regolamento dell’Unione europea che stabilisce criteri e meccanismi per l’esame, e l’eventuale approvazione, di una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un Paese terzo. Nasce dalle ceneri della Convenzione di Dublino, firmata nel 1990 (governo "Andreotti VI") quale primo trattato internazionale multilaterale tra gli allora dodici membri della Comunità europea per darsi regole comuni sull’asilo. In vigore nel 1997, è stato sostituito nel 2003 dal regolamento «Dublino II» e da una terza revisione «Dublino III» varata nel giugno 2013. Il principio chiave è dettato dall’articolo 13: "Quando è accertato (...) che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un Paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale". In altre parole, la responsabilità dell’asilo è del Paese di primo sbarco: chi arriva in Italia tocca all’Italia, chi in Spagna alla Spagna e via dicendo. Allorquando andò in vigore l'originaria Convenzione di Dublino in Italia era giunta un'ondata di migranti albanesi - scatenata dallo scandalo finanziario delle «piramidi» - che per la prima volta non fu respinta dal governo dell'epoca (il "Prodi I") ma lasciata sostanzialmente gestire dalla Caritas e delle parrocchie prevalentemente pugliesi. Il trattato «Dublino II» fu firmato nel 2003 dal governo Berlusconi e il trattato «Dublino III» è stato siglato nel 2013 perché il precedente aveva una scadenza di dieci anni. Detto questo, appare chiaro che nelle attuali condizioni politiche e nell'attuale scenario diplomatico europeo sedersi intorno ad un tavolo per decidere all'unanimità il cambio e/o l'integrazione del trattato non è una priorità per gli Stati europei non direttamente coinvolti dal "primo approdo" sul continente e, quindi, quelli invece coinvolti alzano muri, sistemano fili spinati, sigillano confini e chiudono porti. Dottrine e sedicenti teorie nazionaliste e scioviniste divaricano ancora di più i governi europei liberali da quelli sovranisti, dando a questi ultimi in maniera indiretta la possibilità di soffiare sul fuoco del più becero nazionalismo. Come sta accadendo nei paesi dell'Est (gruppo di Visegrad) che si stanno rinchiudendo in chilometri di muro e come sta avvenendo in Italia dove si armano i porti mentre si chiudono e dove c'è l'intenzione di aggiornare "quasi giornalmente" il decreto sicurezza di recente stipula ma soltanto in funzione di deterrenza all'immigrazione. Eppure una via di uscita all'impasse sul trattato di Dublino il governo italiano potrebbe trovarla, visto e considerato che, da quando è in carica, vuole erigersi a paladino della nuova Europa contro la vecchia Europa proponendosi come cuneo sovranista di riferimento per altri (invero pochi) Paesi del vecchio continente. Quale via di uscita possibile? Road Map umanitaria in Libia. Perché? Per una serie di situazioni che, se affrontate in modo serio, potrebbero sbloccare lo stallo nelle trattative per la riforma del trattato di Dublino (ultimo incontro tra capi di Stato e di governo risale al 5 giugno 2018) e contribuire a lasciare la scelta del Paese dove recarsi a vivere e lavorare ai migranti che si accalcano sulle coste libiche che - fa bene ricordarlo - arrivano in Italia ma solo per avere la possibilità, in massima parte, di stabilirsi in altri Paesi europei. Questa azione politica, propositiva, smonterebbe gli alibi degli altri Paesi europei laddove, di comune accordo, tutti i governi andrebbero a costituire presidi interforze sulle coste libiche attivando uffici di collocamento volti a selezionare richieste di emigrazione e località di destinazione di chi vuole andare via dall'inferno di fame e guerre. Ma questo governo - che ogni giorno alimenta consapevolmente le mire di potere di un solo ministro col sangue e col sudore di donne ed uomini che per grave colpa e per infamia di politiche imperialiste scappano da morte sicura - ha davvero l'intenzione, ma anche la forza e la capacità, di imporsi in Europa come punto di riferimento di una generale e condivisa politica di accoglienza umanitaria?

30 giugno 2019




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