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USCITA DELL’EURO: PER UNA SOVRANITÀ NAZIONALE O PER UNA SOVRANITÀ POPOLARE?

L’uscita dall'euro, così come da tempo richiesta da forze politiche della Destra fascista antieuropeista ma che comincia a fare breccia anche tra forze politiche socialiste e comuniste, che di fatto configurerebbe l'uscita dell'Italia dall'Unione Europea, non è una questione attuale. Vediamo perché. Esistono due modi per gestire una uscita dall’euro: quelli che consentirebbero attraverso meccanismi dipolitica economica di proteggere i salari e le condizioni di lavoro dagli effetti dell’uscita oppure quelli che favorirebbero niente altro che la speculazione internazionale. Nel primo caso, se si introducono controlli sui movimenti di capitale e meccanismi di protezione dei salari, si favoriscono i lavoratori. Nel secondo caso, ci si affida al libero gioco del mercato dei cambi e si favoriscono gli speculatori. II più probabile, allo stato dei fatti, é il modo di uscita da “destra” con l’obiettivo di arrivare a cambi flessibili e favorire la svalutazione allo scopo di rendere il Paese appetibile per i capitali esteri a caccia di acquisizioni a buon mercato anche favorendo le fughe di capitale, aprendo alle acquisizioni estere del capitale bancario e degli ultimi spezzoni rilevanti di capitale industriale nazionale; i salari sarebbero lasciati completamente sguarniti di fronte a un possibile sussulto dei prezzi e soprattutto delle quote distributive di reddito. L’ipotesi di uscita, sic et simpliciter, dall’euro da “sinistra” dovrebbe puntare, strategicamente, su un arresto delle fughe di capitale, su accorte nazionalizzazioni al posto delle acquisizioni estere dei capitali bancari, su un meccanismo di indicizzazione dei salari e di amministrazione di alcuni prezzi base per governare gli sbalzi nella distribuzione dei redditi; ne verrebbe di conseguenza la proposta di creare un’area di libero scambio tra i paesi del Sud Europa, evitando tentazioni egemoniche francesi mai sopite quando si affronta questo discorso. Oggi l’ipotesi di uscita “da destra” in nome della sovranità monetaria viene (teoricamente) caldeggiata dai Paesi del cosiddetto «Patto di Visegrad». Ma questa scelta, nel contesto di contrapposizione finanziaria tra le borghesie europee, porterebbe allo sganciamento da un regime di cambi fissi che già in passato ha prodotto veri e propri disastri in termini di liquidazione del capitale nazionale e di distruzione dei diritti sociali. Tra l'altro, l’uscita dall'euro in questa fase storica e con questi assetti politici ed economici alimenterebbe pericolosamente il cosmopolitismo del capitale, contrapponendolo alla nostra visione di internazionalismo proletario. Il cosmopolitismo prescinde dalle nazioni avendo un carattere individualistico che sul piano economico esprime il criterio vitale della mobilità perché il capitale ha bisogno sia dello Stato, per le garanzie e le norme giuridiche che lo proteggono, che di un’ampia libertà di movimento oltre e al di sopra dei confini statali per la sua valorizzazione. L’internazionalismo proletario non prescinde dall’esistenza delle nazioni e degli Stati, ha un carattere collettivo di classe e si propone di superare le differenze e le rivalità nazionali e statali mediante la costruzione di una solidarietà e di un’unità di intenti economici e politici tra classi subalterne e lavoratori salariati appartenenti a nazionalità differenti nei confronti del capitale. Sono decisive le differenze: il cosmopolitismo riconosce e persegue l'affermazione globale degli interessi individuali dell'élite capitalistica al di sopra dello Stato nazionale mantenendone però saldamente sia il controllo politico che la natura di classe; l'internazionalismo proletario riconosce e persegue globalmente gli interessi collettivi delle lavoratrici e dei lavoratori salariati contro le divisioni nazionali e contro il ruolo dello Stato di supporto politico alla concentrazione del capitale. L’obiettivo delle masse popolari, il nostro obiettivo, è la costruzione della società socialista ed i fattori caratterizzanti la lotta per questo obiettivo sono due e divergono da un freddo e insensato appiattimento su posizioni nazionaliste, comunque variegate, ma di fatto reazionarie ed anti-socialiste:
1. il conflitto tra classi opposte, tra oppressi e oppressori, tra chi ha il capitale e chi ha le braccia, e che non consiste nel discutere senza senso di élite e di popolo ma serve invece a chiarire la loro relazione con il capitale e con il lavoro salariato
2. la necessaria internazionalizzazione del conflitto tra i due campi.
Il nazionalismo, il sovranismo, sono antitetici all’’internazionalismo proletario. La via per il
movimento operaio mondiale è tracciata, il campo di riferimento è quello degli oppressi in patria così come oltre i confini nazionali, in solidarietà e in supporto degli oppressi di altri Paesi, ovunque essi siano. Se non si parte dalla solidarietà tra oppressi e sfruttati e dalla presa di coscienza del proprio essere sociale e della classe alla quale si appartiene, non si riuscirà a trovare nel socialismo l’alternativa strutturale alla centralità del capitale e la deriva emotiva dei popoli, non contrastata teoricamente, porterà all’isolamento delle forze socialiste e comuniste dalle classi meno abbienti all’interno dei confini nazionali ed al conseguente trionfo del potere economico e politico di una borghesia sempre più aggressiva. E’ necessario, allora, liberarsi da una concezione aleatoria della “sovranità” alimentata dai regimi di democrazia borghese che puntano a favorire, in assenza della prospettiva di una democrazia consiliare, il risorgere di una mistificatoria sovranità nazionale per evidenziarne definitivamente le sostanziali differenze politiche e di prospettiva. Deve essere chiaro che la sovranità nazionale ripropone all'interno di uno Stato il potere del capitale nazionale contrapposto al capitale internazionale, mentre invece la sovranità popolare, mediante varie forme di democrazia diretta, realizza il superamento della società capitalista. Questo l'obiettivo finale ma bisogna essere anche consci della realtà attuale: il movimento operaio e le forze socialiste e comuniste non sono attrezzate teoricamente e non sono pronte ad affrontare l’uscita “da sinistra” dall’Europa comunitaria. Che resta un obiettivo di lungo termine, inscindibile dalla costruzione degli Stati socialisti d’Europa.



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