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L’UCRAINA E LA RUSSIA, LA NATO E L'EUROPA

Premessa: l’invasione dell'Ucraina da parte dell’esercito russo è un’azione criminale che merita una condanna senza appello. Appare però necessario, in questo drammatico momento, assumere posizioni che siano chiare, motivate ed equilibrate, al fine di cercare di comprendere perché le armi della politica hanno lasciato il posto a quelle da fuoco, ripeto senza alcuna giustificazione. Bisogna, quindi, ripercorrere la storia degli eventi cruciali del Novecento che hanno attraversato la storia dell'Ucraina, della Russia, dell'Europa per capire, senza giustificare, la crisi in cui è piombata dopo circa ottant'anni il vecchio Continente. Nel 1917 in seguito alla Rivoluzione di Ottobre, sui territori dell’ex impero zarista vi fu un lungo periodo di guerra civile che portò diciotto eserciti ad invadere la Russia per combattere il governo bolscevico. In quello stesso anno il 2º Congresso dei Soviet emanò, su invito di Lenin, il decreto sull'autodeterminazione dei popoli. Sui territori di lingua ucraina dell’ex Impero zarista sorsero, nel corso del 1917, la Repubblica popolare ucraina con capitale Kiev e la Repubblica socialista sovietica ucraina con capitale Charkov. La prima fu riconosciuta dall'Impero Germanico, che ne impose il riconoscimento ai Bolscevichi nel trattato di Brest-Litovsk e si schierò con le armate bianche zariste, la seconda invece appoggiò la Rivoluzione combattendo al fianco dell’Armata Rossa. Il 30 dicembre 1922, dall’unione tra la Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina, la RSS della Russia, la RSS della Transcaucasia, la RSS della Bielorussia nacque l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) cessata nel 1991. Ed è in quell’anno che si gettano le basi per la gestione politica dell'Europa orientale in via di disgregazione dal blocco politico e militare sovietico. Facendo un passo indietro di due anni, George Bush e Mikhail  Gorbacëv si incontrarono a Malta nei giorni 2 e 3 dicembre 1989 proprio all’indomani della caduta del muro di Berlino e alla vigilia del disfacimento del Patto di Varsavia. Nella piccola isola mediterranea, il Presidente americano assicurò al Presidente sovietico che “la giurisdizione della Nato non si sarebbe allargata nemmeno di un centimetro verso oriente”.[1] L’accordo verbale era chiaro: se la Russia rinunciava alla sua egemonia sull’Europa centro-orientale gli Stati Uniti non avrebbero in alcun modo approfittato di tale concessione per allargare la loro influenza e minacciare la sicurezza strategica russa. Un ‘gentlemen’s agreement’ mai però formalizzato per iscritto e negli anni pervicacemente smentito dalle varie amministrazioni USA e dai loro terminali europei. Ultimo in ordine di tempo il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che proprio in questi giorni ha seccamente ribadito che “nessuno, mai, in nessuna data e in nessun luogo, aveva fatto tali promesse all’Unione Sovietica”[2]. Invece, i due statisti si accordarono per rilasciare un comunicato congiunto della massima importanza dove, sulla base degli accordi raggiunti durante i colloqui, si concordava sul fatto che l’Unione Sovietica dovesse rinunciare a ogni intervento per sostenere gli agonizzanti sistemi comunisti dell’Est, mentre gli Stati Uniti s’impegnavano a non ricavare alcun vantaggio strategico dagli sviluppi politici conseguenti alla decisione del Cremlino. Si trattò di un comunicato che allora non fu formalizzato per iscritto ma i cui contenuti si possono evincere dal verbale russo del colloquio tra i due premier (tradotto in inglese a cura del «National Security Archive, Think-Tank» che era un’emanazione della George Washington University) nel punto in cui Bush rassicurava il suo interlocutore sul fatto “che i profondi cambiamenti politici in corso non avrebbero danneggiato la posizione internazionale della Russia”[3] e dichiarava: “Spero che abbiate notato che mentre i mutamenti nell’Europa orientale sono in corso, gli Stati Uniti si sono impegnati a condannare tutte le dichiarazioni volte a danneggiare l’Unione Sovietica. Ed è per questo che molti negli Stati Uniti mi accusano di essere troppo cauto nella mia politica estera. È vero, sono un uomo prudente, ma non sono un codardo; e la mia amministrazione cercherà di evitare di fare qualsiasi cosa possa danneggiare la vostra situazione strategica e quella che riguarda il vostro tradizionale hinterland. Mi è stato anche insistentemente consigliato di scalare ciò che resta del muro di Berlino e fare da quel pulpito dichiarazioni stentoree e provocatorie contro di voi. La mia amministrazione, tuttavia, è fermamente decisa a evitare questi passi falsi e a mantenere una posizione equilibrata”.[4] L’esistenza del cosiddetto «accordo di Malta» fu poi confermata dalle dichiarazioni del Primo ministro inglese, Margaret Thatcher, del Cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, del Presidente francese, François Mitterrand, e dalla testimonianza dell’allora ambasciatore statunitense a Mosca, Jack Foust Matlock. Più di recente, dopo un lungo periodo di enigmatico silenzio, lo stesso Gorbacëv è tornato su questo punto, rimproverandosi tardivamente per la passata sprovvedutezza ed esprimendo il rammarico che le garanzie offerte da Bush siano rimaste un semplice accordo verbale senza trasformarsi in un’esplicita convenzione diplomatica dove si sarebbero potute recepire anche le assicurazioni fornitegli dal segretario di Stato, Baker, subito dopo la caduta del Muro, secondo le quali “la giurisdizione della Nato non si sarebbe allargata di un pollice verso Oriente”[5]. Come tutte le intese sulla parola, l’accordo stipulato nella piccola isola del Mediterraneo può essere sottoposto a molteplici interpretazioni ma non azzerato nella sua sostanza. Il significato del «compromesso storico» tra Urss e Occidente era tutto nelle parole pronunciate da Baker: da una parte, la Russia rinunciava alla sua egemonia sull’Europa orientale e, dall’altra, gli Stati Uniti non avrebbero in alcun modo approfittato di tale concessione per allargare la loro influenza su quella regione.  Erano, però, quelle di Baker, promesse scritte sulla sabbia poiché molto prima della crisi russo-ucraina, la Russia si è ritrovata accerchiata da un «cordone sanitario» di paesi Nato simile a quello che le Potenze occidentali avevano steso attorno alla Russia bolscevica nel 1919. Il riferimento storico decisivo è quello legato al «Trattato sullo stato finale della Germania» - passato alla storia come «Accordo 2+4» - che fu siglato a Mosca il 12 settembre 1990 tra Repubblica Democratica Tedesca e URSS + USA, Francia, Regno Unito e Germania Ovest, firmatari rispettivamente Lothar De Maizière, Eduard Shaverdnadze, James Baker, Roland Dumas, Douglas Hurd, Hans-Dietrich Genscher, nel quale fu deciso il futuro assetto della Germania riunificata. Con la firma sul Trattato la ‘questione tedesca’ trovava finalmente soluzione: le quattro potenze occupanti rinunciavano ai diritti sulla Germania, inclusi quelli su Berlino e assicuravano che il paese sarebbe rimasto da quel momento in avanti territorio libero da occupazioni. I russi avrebbero dovuto lasciare completamente il territorio e le potenze occidentali non avrebbero più potuto usare la Germania come avamposto militare. A latere di questo accordo fu stabilito che la NATO non avrebbe ampliato i propri confini oltre i confini tedeschi. Questa parte dell’accordo non fu messa per iscritto ma, a distanza di anni, sono emerse le prove che un siffatto accordo fosse stato stabilito. Infatti, la rivista tedesca «Der Spiegel» ha riportato la scoperta di un documento d’archivio  che, come dice l’articolo, rafforza la versione delle autorità russe secondo cui quando la Germania fu unificata, all’Unione Sovietica fu promesso che la NATO non si sarebbe espansa a est. Il documento è stato scoperto nei British National Archives dal politologo americano Joshua Shifrinson, professore alla Boston University. In precedenza, il documento era classificato come ‘segreto’ ma poi è stato declassificato nel 2017. Si tratta del verbale della riunione dei direttori politici dei ministeri degli esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania, tenutasi a Bonn il 6 marzo 1991. Il tema era la sicurezza nell’Europa centrale e orientale. L’organizzazione del Patto di Varsavia a quel punto stava già implodendo, e i politici dei paesi del blocco sovietico avevano segnalato ai paesi occidentali il loro interesse ad aderire alla NATO. Tuttavia, come fatto osservare nell’articolo,  dal documento è chiaro che inglesi, americani, tedeschi e francesi convennero che l’adesione dell’Europa orientale alla NATO era “inaccettabile”. Secondo la nota, il direttore politico del ministero degli Esteri tedesco, Jurgen Hrobog, dichiarò che “nelle trattative a 2 + 4 abbiamo chiarito che non estenderemo la Nato oltre l’Elba. Non possiamo quindi dare alla Polonia e agli altri l’ingresso nella Nato”[6]. E il rappresentante degli Stati Uniti Raymond Seitz, afferma sempre il documento, concordò: “Abbiamo chiarito all’Unione Sovietica – nei colloqui 2 più 4, così come in altri negoziati – che non intendiamo beneficiare del ritiro delle truppe sovietiche dall’est Europa… La NATO non dovrebbe espandersi ad est né formalmente né informalmente”[7].

(Nota: il testo chiarisce che non si è parlato dell’Elba ma dell’Oder)

La Nato ha sempre escluso questa ricostruzione, ma la preoccupazione russa per l’espansione dell’Alleanza atlantica a Est emergerebbe anche dalla trascrizione di una telefonata dell’ex presidente russo Boris Yeltsin al presidente statunitense Bill Clinton del 15 settembre 1993: “Voglio anche portare attenzione al fatto che lo spirito del trattato sullo stato definitivo della Germania firmato in settembre nel 1990, specialmente le previsioni che proibiscono il dispiegamento di truppe straniere nei territori orientali della Germania, preclude l’opzione dell’espansione della zona Nato all’Est”[8]. Ma il corso degli eventi prese una piega ben diversa da quanto, formalmente e informalmente, deciso in quegli anni: in data 8 luglio 1997 tre Paesi dell’ex Patto di Varsavia – Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca – vennero invitati a unirsi alla NATO nel 1999 in base alla decisione di agevolare l'allargamento agli altri Paesi europei presa il 10 gennaio 1994 al vertice di Bruxelles; in data 21 novembre 2002, nel corso di un altro vertice tenutosi a Praga, altri sei Stati dell’ex Patto di Varsavia – Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia, Bulgaria e Romania – più la  Slovenia, furono invitati ad aprire dei colloqui con l'Alleanza atlantica e in data 29 marzo 2004 completarono il processo di adesione alla NATO; in data 4 aprile 2009 Albania e Croazia completarono il processo di adesione alla NATO; in data 5 giugno 2017 il Montenegro completò il percorso di adesione alla NATO; in data 20 marzo 2020 la Macedonia del Nord, dopo la ratifica dell’ultimo paese europeo interessato a dare il proprio consenso, la Spagna, entrò a far parte della NATO. In tutto questo frangente, già nel 2007 Vladimir Putin denunciò nel suo famoso discorso durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco che l'allargamento della NATO rappresentava una minaccia per la Russia e andava contro gli impegni assunti dall'Alleanza stessa: “Penso sia chiaro che il processo di espansione della Nato non ha nulla a che fare con la modernizzazione dell'alleanza stessa o con la sicurezza in Europa. Al contrario, è un serio fattore provocatorio che riduce il livello di fiducia reciproca. E abbiamo il diritto di chiedere apertamente: contro chi è diretta questa espansione?”[9] e poi aggiunse: “Che fine hanno fatto le promesse fatte dai partner occidentali dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia? Dove sono ora queste promesse? Nessuno le ricorda nemmeno”[10] rammentando ai presenti le dichiarazioni che l'allora segretario generale della NATO, Manfred Hermann Wörner, pronunciò il 17 maggio 1990 a Bruxelles: “Il fatto stesso che non siamo disposti a localizzare truppe della NATO al di fuori della RFT dà all'Unione Sovietica solide garanzie di sicurezza.”[11] e concludendo: “Dove sono queste garanzie?”[12]. Le violazioni dell’accordo tra NATO e URSS furono riprese severamente in un'intervista al «The Daily Telegraph»  dall'ex leader sovietico Gorbačëv, il 7 maggio 2008, nel corso della quale egli riferì come “...gli Americani ci promisero che la NATO non sarebbe mai andata oltre i confini della Germania dopo la guerra fredda, ma adesso metà dell'Europa centrale e dell'Europa orientale ne sono membri: così, cos'è capitato alle loro promesse? Ciò dimostra che di loro non ci si possa fidare”[13]. Tornando ai giorni nostri, Il presidente francese Macron in un discorso alla nazione, tenuto il 2 marzo scorso, ha detto, tra le altre cose: “…la guerra in Europa non è più limitata ai nostri libri di storia e ai nostri libri di testo. È qui ora, proprio davanti ai nostri occhi. La democrazia non è più vista come un sistema indiscusso. È stata messa in discussione proprio davanti ai nostri occhi. La nostra libertà e quella dei nostri figli non sono più scontate. Ora più che mai, richiedono il coraggio e la volontà di lottare per loro in ogni momento…”[14] per poi aggiungere che se il multilateralismo è l’unica via percorribile per il continente e la NATO la sua unica possibilità di avere credibilità militare nel mondo, è quanto mai stringente per lui la necessità di ottenere una strategia per un’Europa che sia potenza: “…ora l’Europa deve accettare di pagare il prezzo della pace, della libertà e della democrazia. L’Europa deve investire di più per diminuire la sua dipendenza dagli altri continenti e per poter decidere da sola. In altre parole, deve diventare una potenza più indipendente e più sovrana”[15]. Quanto tempo è passato dalla «Conferenza sulla sicurezza di Monaco» (2007) alla firma del «Protocollo di Minsk» (2014) dove il Gruppo di Contatto Trilaterale sull'Ucraina, composto dai rappresentanti di Ucraina, Russia, Repubblica Popolare di Doneck (DNR) e Repubblica Popolare di Luhansk (LNR) stilò – dopo estesi colloqui sotto l'egida della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) – un accordo in dodici punti per risolvere i problemi legati alla secessione di alcuni territori di  lingua russa dal resto dell’Ucraina? Tanto tempo. E cosa è stato fatto in questi anni? Niente. Il Protocollo di Minsk fu completamente disatteso dalle parti coinvolte, così come lo fu il «Protocollo di Minsk II» che fu redatto l’anno successivo da capi di Stato e di governo di Ucraina, Russia, Francia e Germania. Cosa ha fatto, da parte sua, Putin per favorire il dialogo tra le parti in guerra se non puntare al riarmo del proprio esercito e ad inviare mercenari a combattere nel Donbass e proprie truppe senza insegne ad occupare Sebastopoli in Crimea per poi far indire al governo fantoccio un referendum per l’annessione alla Russia? Ed oggi ci ritroviamo con una guerra in piena regola. Che cosa sta facendo l'Europa? Non assiste certo da spettatrice alla guerra tra Ucraina e Russia: sta armando la prima e sanzionando duramente la seconda, ben sapendo che gli ucraini combattono anche per la sua stessa libertà. I governanti europei hanno ben compreso che i russi non si fermeranno, che potranno succedere incidenti, per caso oppure non per caso. Che cosa succederebbe se la Russia dovesse attaccare un altro paese neutrale come la Svezia o la Finlandia? Gli Stati Uniti starebbero a guardare un allargamento della guerra al Baltico? Saremo alla terza guerra mondiale. Non c'è altra soluzione che fermare questo gioco perverso, evitando di immaginare che gli ucraini debbano salvarsi da soli e che possano farlo di fronte ad un esercito ampiamente più numeroso e potente: dando più armi all’esercito ucraino si potrà rallentare e demoralizzare l’offensiva russa, nel mentre si prova a negoziare in maniera unitaria per quanto possibile vista la chiusura di Putin a qualsiasi accordo che non contempli le sue richieste. Comunque vada a finire questa drammatica esperienza di guerra sul suolo europeo, penso – interpretando e sviluppando il pensiero del presidente francese – sia giunto il tempo che la comunità europea si ponga l’obiettivo, nel medio periodo, di ergersi a soggetto politico di tipo nuovo, autonomo, superando l'appartenenza atlantica rappresentata dalla NATO. L'Europa dovrà ripensarsi come polo politico e militare non allineato, in grado di evitare e contrastare anche l'abbraccio mortale delle mire espansionistiche economiche e finanziarie cinesi e/o russe, diverse come orizzonte politico ma affini nel tentativo di spezzarne e indebolirne l'unità. Forse l’unico tentativo per riportare il vecchio Continente al centro della scena politica mondiale con un ruolo da protagonista nella ricerca ossessiva della pace tra i popoli.                                                                                                                                                                                     



[1] InsideOver, 22 febbraio 2022

[2] Ibidem

[3] Corriere della Sera, La nostra storia, 2 novembre 2019

[4] Ibidem

[5] Nuova rivista storica, 2 novembre 2019

[6] Il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2022

[7] VP NEWS, 18 febbraio 2022

[8] Il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2022

[9] L’ANTIDIPLOMATICO, 19 febbraio 2022

[10] Ibidem

[11] Ibidem

[12] Ibidem

[13] WIKIPEDIA

[14] Geopolitica.info, 4 marzo 2022

[15] Ibidem




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