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AGIRE SULL'INFLAZIONE PER INCREMENTARE IL PIL
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- Di Comintern
- Giovedì, 04 Novembre 2021 16:48
La BCE e le banche centrali hanno spinto con forza per ‘reflazionare’ le economie, per portare l’inflazione al 2% (e lo fanno tuttora che è arrivata al 3%) per evitare la deflazione e per non accontentarsi di un’inflazione quasi a zero. Per gli economisti un tasso d’inflazione al 2% sta ad indicare, generalmente, che un sistema economico è in buona salute, che i consumi sono in rafforzamento e alimentano la crescita, che i salari sono in aumento grazie a un mercato del lavoro solido, che la produzione risente di un aumento della domanda. Un’inflazione però eccessiva, così come un’inflazione negativa o deflazione, è al contrario molto dannosa per l’economia perché genera incertezza, sfiducia degli operatori finanziari, determinando comportamenti non ottimali per il contesto economico. Un’inflazione eccessiva, però, può determinare un contesto di sfiducia, generare un rialzo dei tassi di interesse e frenare gli investimenti o i consumi mentre la deflazione è ancora peggiore perché induce all’immobilismo, con imprenditori e consumatori indotti a pensare che comprare o investire domani sia meglio che farlo oggi dal momento che prezzi e costi scenderanno, quindi ad un conseguente calo della crescita economica che porta alla recessione. Un’inflazione mediamente sostenuta è, invece, favorevole per i Paesi con elevati stock di debito, quindi per l’Italia, al contrario della deflazione che è molto negativa perché lo stock di debito pubblico accumulato, da finanziare con nuove emissioni di titoli obbligazionari, solitamente è a prezzi costanti e resta invariato nel tempo mentre il Prodotto Interno Lordo decresce e il calo avviene a prezzi correnti, in quanto composto da valori che vengono aggiornati proprio con l’inflazione. Per quest’ultimo motivo, la crescita del Pil per il nostro Paese non potrà non essere (moderatamente) inflazionata, proprio per favorire il riequilibrio degli indici di debito (Debito/Pil) che tenderanno a scendere. Conseguentemente per raggiungere questo possente obiettivo può essere di aiuto al governo lo stanziamento delle somme previste dal «Recovery Fund» in aggiunta, però, ad un'azione altrettanto possente che incida sul reddito dei lavoratori italiani, unici in Europa ad aver avuto rispetto al 1990 un decremento salariale pari al 2,9%. Al nostro Paese servono massicci investimenti pubblici che stimolino quelli privati e una forte spinta all'esportazione, ma anche e soprattutto incremento della massima occupazione possibile accompagnata da aumenti salariali che favoriscano la massiccia ripresa dei consumi delle famiglie italiane. Una Nuova Politica Economica al fine di rilanciare lo sviluppo produttivo e contribuire all’incremento Pil. Lo sviluppo produttivo dipende dalla domanda che a sua volta dipende dal reddito, che è uguale alla produzione. Un effetto moltiplicatore: l'incremento della domanda fa aumentare la produzione; l'aumento della produzione porta a un aumento del reddito dello stesso ammontare, dato che domanda e produzione sono identicamente uguali; la crescita del reddito aumenta ulteriormente il consumo che a sua volta genera un aumento della domanda e così via. Se persiste, invece, come in questa fase, il clima di forte incertezza c'è il rischio di compromettere l’efficacia degli eventuali stimoli alla domanda e quindi comprimere il Pil, le cui variabili più importanti sono i consumi, in quanto parte più importante degli impieghi, e gli investimenti perché rappresentano il potenziale produttivo del Paese.