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IL PNRR PENALIZZA ANCORA LA SANITA’ PUBBLICA

Dall’analisi incrociata della missione “Salute” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) e del Documento di economia e finanza (Def) per il triennio 2022-2024 si evince che l’attuale esecutivo, ancor più del precedente, non intende scardinare il Servizio Sanitario Nazionale dalla posizione di “privilegio” riservato ai pochi che possono permetterselo, dopo la cura di tagli cui è stato sottoposto per un quindicennio. Infatti, il Recovery Plan in concreto non recupera quasi nulla: la cifra che il governo Draghi dedica alla salute è un po’ inferiore a quella abbozzata dal governo Conte, circa 600 milioni di euro in meno. Particolarmente esplicativa la missione 6.1 dedicata all’assistenza territoriale: 7 miliardi di euro destinati a tre obiettivi – gli stessi già presenti nel Piano stilato dal precedente governo – ma con un tale spostamento interno di risorse che ne risulta di fatto stravolta l’impostazione, pur essendo il ministro della Salute lo stesso in entrambi gli esecutivi. In sostanza, gli investimenti nella rete sanitaria nazionale sono dimezzati e ora si punta tutto sull’assistenza a casa e sulla telemedicina, cioè “a distanza”. Opportuno un confronto tra le due impostazioni di Piano.  In quello di gennaio, governo Conte, si tentava di ricostruire la rete fisica del SSN – falcidiata per anni da chiusure e da accorpamenti, spesso a favore di strutture private – i cui effetti nefasti sono stati evidenti a tutti con l’arrivo della pandemia. Quel Piano si poneva tre obiettivi fondamentali. Primo obiettivo: 4 miliardi di euro erano destinati all’apertura di 2.564 nuove Case della comunità, strutture pubbliche in cui si troveranno medici di medicina generale e specialisti, infermieri e altri professionisti della salute, più addetti ai vari servizi sociali, nella misura di una ogni 24.500 abitanti, “con l’obiettivo di prendere in carico 8 milioni circa di pazienti cronici mono-patologici e 5 milioni circa di pazienti cronici multi-patologici”. Secondo obiettivo: 2 miliardi di euro servivano per aprire 753 Ospedali di comunità, cioè uno ogni 80.000 abitanti, per ricoveri di durata massima 15-20 giorni. Terzo obiettivo: 1 miliardo di euro per realizzare 575 Centri di coordinamento per l’assistenza domiciliare con “51.750 medici e altri professionisti attivi, nonché 282.425 pazienti con kit technical package attivo” per la telemedicina per cui dovevano essere anche definite le linee guida. Il Piano  del governo Draghi stravolge questa impostazione: dimezza i fondi e il numero sia delle Case di comunità (2 miliardi di euro) che degli Ospedali di comunità (1 miliardo di euro) e punta tutto sull’assistenza domiciliare e sulla telemedicina (4 miliardi di euro) con “l’obiettivo di prendere in carico il 10% della popolazione over 65 entro il 2026”. Più alto è l’investimento una tantum per tecnologia e strutture digitali e meno onerosi i costi di gestione ma negativo l’impatto sulla vita dei territori, specie nelle cosiddette aree interne maggiormente bisognose di infrastrutture sociali. Questo a non parlare della “presa” concreta che può avere la telemedicina per le condizioni concrete della popolazione di una certa fascia di età: basta immaginare migliaia di anziani alle prese su una tastiera di pc col “kit technical package”. Questa scelta del governo è in linea con le previsioni del Def del mese scorso: alla fine del triennio 2022-2024, per il governo la spesa sanitaria dovrà calare in rapporto al Pil di un punto percentuale tondo – dal 7,3% del 2021 al 6,3% che era il livello previsto nel 2020 senza il coronavirus – e questo significa (secondo i calcoli del Forum per il diritto alla salute)  un decremento a un tasso medio annuo dello 0,7% in anni in cui il Pil nominale è previsto crescere in media del 4,2%. Con questa operazione contabile le maggiori spese dell’ultimo biennio saranno riassorbite quasi senza lasciare traccia: non solo quelle per i farmaci o per le migliaia di degenze in ospedale ma anche quella per il personale assunto, in gran parte precario, e le strutture messe in piedi per l’emergenza pandemica. L’Italia tornerà, dunque, a essere tra i Paesi europei che spendono meno in salute: il nostro 6,3% sul Pil di partenza (e di arrivo al 2024) ci poneva largamente dietro i dati pre-Covid di Germania (9,9%), Francia (9,4%), Svezia (9,3%), Olanda (8,2%) e Gran Bretagna (8%), di Stati con modelli molto diversi tra loro. Cosa che il governo ovviamente sa: nel Pnrr è scritto che “nonostante la spesa sanitaria sul Pil risulti inferiore rispetto alla media Ue”. Fin troppo facile concludere, quindi, che se la spesa pubblica è bassa, tende ovviamente a salire quella privata diretta: 2% del Pil in Italia, 1% del Pil in Francia e in Olanda, 1,4% del Pil in Germania.

(fonte dati: Il Fatto Quotidiano, 9 maggio 2021)




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