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NOTE SULLA COSTRUZIONE E SULL’ORGANIZZAZIONE DEL PARTITO COMUNISTA

Karl Marx e Friedrich Engels individuarono scientificamente l’esigenza storica che il proletariato, per la trasformazione rivoluzionaria della società capitalista in società socialista, si dotasse di un proprio Partito politico autonomo sia sul piano ideologico che su quello organizzativo: “Nella sua lotta contro il potere unificato delle classi possidenti – si legge nello «Statuto dell’Associazione Internazionale degli Operai» – il proletariato può agire come classe solo organizzandosi in partito politico autonomo, che si oppone a tutti gli altri partiti costituiti dalle classi possidenti. Questa organizzazione del proletariato in partito politico è necessaria allo scopo di assicurare la vittoria della rivoluzione sociale e il raggiungimento del suo fine ultimo, la soppressione delle classi”. Per rispondere in maniera forte, decisa e definitiva alla preoccupante escalation del fascismo in Italia, ora che gode anche del sostegno mascherato ma non tanto di un Partito al governo, è necessario ricostruire un Partito Comunista che possa ridefinire teoria e prassi rivoluzionarie finalizzate ad organizzare le masse popolari, gli sfruttati, i bisognosi ed i diversi. Necessarie alcune riflessioni, propedeutiche all’attività che dovremo pianificare possibilmente sul territorio nazionale, di certo su quello provinciale e regionale:

  • Partito Comunista di massa o i quadri?  

La forma storicamente determinata che abbiamo conosciuta in Italia è stata quella del Partito comunista di massa – il P.C.I. – radicato tra le masse popolari nei territori e nei luoghi di lavoro, in grado di partire dai loro bisogni e dai loro interessi materiali facendo leva su questioni concrete, partendo proprio dalle difficoltà della vita quotidiana per portarle dal terreno delle rivendicazioni meramente economiche e rivendicative (in questo supportato da una potente CGIL) su un terreno più generale, prettamente politico. Con le esperienze teoriche fornite dalla Terza Internazionale e con quelle relative alla costruzione dei Fronti Popolari, il gruppo dirigente del P.C.I. ricordava sempre l’esortazione di Lenin ai bolscevichi a non ridursi a piccole sette in grado di fare solo della propaganda bensì a coltivare l’ambizione di fare politica e a diventare, attraverso un lungo lavoro egemonico tra le masse lavoratrici, maggioritari al loro interno. In tal senso, ritengo questa impostazione ancora valida fermo restando che dobbiamo essere consapevoli della nostra attuale condizione minoritaria senza rassegnarci ad essa, ma lavorando collettivamente per superarla. Il Partito Comunista Italiano non rinunciò mai a tale concezione neanche negli anni della clandestinità allorquando, anche se numericamente ancora piccolo ed operante in clandestinità, continuò ad operare in tutti i modi per evitare di perdere il contatto con le masse; in quel paziente e rischioso lavoro ebbero presa le radici del partito di massa del dopoguerra. Non ci fu netta separazione tra i due modelli di Partito bensì un adeguamento delle forme organizzative al mutare della situazione, tenendo sempre presente l’obiettivo di diventare maggioritari tra le masse popolari pur essendo fuorilegge e del tutto minoritari in quanto a rappresentanza politica. Oggigiorno, visti i compiti che ci attendono e valutate le condizioni date, si potrebbe recuperare questa visione adattandola, però, alle mutate condizioni e alla diversa organizzazione del mondo del lavoro: il decentramento e la parcellizzazione dei processi produttivi e la frammentazione pulviscolare dell’intera società costituiscono un contesto nel quale riproporre “sic et simpliciter” quel modello di Partito storicamente determinato da due milioni di iscritti, dall’insediamento nelle grandi fabbriche, nelle città e nei paesi, negli enti locali e nelle cooperative, non è riproponibile. Occorre integrare quel modello teorico con forme concrete di organizzazione che non si limitino alla semplice iscrizione al Partito ma contemplino militanza ed attivismo sul territorio dove, a elementi tradizionali come la sezione, si affianchino anche forme nuove, più elastiche e multiformi, che non siano solo le cellule sui luoghi di lavoro (ferma restando la priorità del radicamento nei luoghi di lavoro)  ma anche il rafforzamento della presenza e della militanza nei Sindacati e non solo nella CGIL, la riproposizione di Case del popolo, la sinergia con movimenti ambientalisti e pacifisti. In tutto questo e con tutto questo, ritengo che la (ri)costruzione del Partito debba andare di pari passo con la costruzione di Fronti Uniti di Resistenza Antifascista col contributo attivo dei comunisti in funzione egemone. Per usare una formula sintetica, ritengo che oggi sia necessario e possibile un Partito Comunista che sia “di quadri e di massa” che possa cioè contare su militanti quotidianamente attivi che conoscano e facciano propria la teoria rivoluzionaria quale premessa indispensabile per potersi radicare nel popolo e configurarsi come “Partito di massa” e che sviluppi necessariamente formazione politica di massa e di classe. La selezione dei gruppi dirigenti, finalizzata alla migliore organizzazione del Partito, non può che avvenire nella lotta di classe e per la lotta di classe, attraverso la capacità di dirigere l'azione politica senza cadere nel burocratismo: necessaria la formazione politica all’interno del Partito ma anche consapevolezza del suo ruolo quale strumento di emancipazione all’esterno per costruire l’egemonia. La selezione dei quadri è al contempo frutto e risultato della lotta di classe ma è anche funzionale alla sua stessa organizzazione su larga scala e per questo è necessaria la formazione teorica e politica quale strumento culturale più efficace per studiare ed interpretare la realtà e dunque tentare di modificarla strutturalmente nelle maglie del conflitto sociale.

  • Organizzazione del Partito Comunista

Un partito marxista-leninista, classista per sua stessa natura, oltre ad avere radici profonde nell’ambiente operaio, può anche avere al suo interno elementi provenienti da altri strati della popolazione a condizione però che a aderiscano senza riserve alle posizioni ideologiche e politiche del proletariato rivoluzionario. I principi che regolano l’organizzazione di un Partito Comunista derivano dalla funzione che esso deve svolgere, dal carattere rivoluzionario dei suoi compiti e dei suoi fini. Gli interessi che esso esprime non derivano dalla somma degli interessi dei singoli operai o delle loro categorie ma dagli interessi generali della classe che possono realizzarsi solo mediante un’unica volontà, capace di convogliare una quantità di azioni singole in una unica lotta comune. Solo una direzione centralizzata può riunire tutte le forze, indirizzarle verso un unico fine, coordinare le azioni isolate dei singoli e dei gruppi ma la volontà generale del Partito non può formarsi se non per via democratica, cioè attraverso un dibattito comune, collettivo, che consideri le diverse opinioni e proposte, e indichi in fine decisioni obbligatorie per tutti. Elaborata con questo metodo, la volontà generale ha il vantaggio di esprimere più compiutamente, e perciò più giustamente, le esigenze obiettive della lotta di classe del proletariato. In tal modo il centralismo del Partito Comunista è un “centralismo democratico” che si appoggia cioè sulla volontà della maggioranza del Partito. La democrazia al suo interno in questo caso non è una semplice “libertà di critica” astratta ma si sostanzia in un reale confronto costruttivo, inserito in un programma di attività e trasformazione rivoluzionaria. In altri termini, senza una centralizzazione, un impegno attivo degli organismi dirigenti nell’indirizzare la discussione verso la risoluzione dei problemi concreti della lotta di classe, la “democrazia” si ridurrebbe ad uno sterile rito formale. Questa funzione degli organismi dirigenti deriva dal fatto che la formazione dei quadri e la loro promozione avviene in seguito alla loro capacità di legarsi alle esigenze delle masse e alla loro fermezza nel condurre la lotta di classe. Il centralismo non è dunque semplice accentramento, dovuto a motivi esclusivamente pratici di difesa dell’organizzazione ma è la condizione stessa affinché si verifichi all’interno del Partito la democrazia socialista, realizzando al suo interno il principio generale della priorità delle esigenze di classe su quelle individuali, nella consapevolezza che queste ultime non possono essere soddisfatte in maniera individualistica ma solo in seguito al progresso delle condizioni storiche di tutta la classe. 

Centralismo democratico in pratica significa:

  • elettività di tutti gli organi dirigenti dal basso in alto
  • rapporto periodico degli organi di partito davanti alle proprie organizzazioni di base
  • severa disciplina di partito e sottomissione della minoranza alla maggioranza
  • incondizionata obbligatorietà delle decisioni degli organi superiori per quelli inferiori

Il principio del centralismo democratico sta alla base dello statuto che di ogni Partito Comunista determina la struttura e le regole di vita interna, i metodi di attività pratica delle sue organizzazioni, i doveri e i diritti dei suoi membri. La questione degli obblighi dei suoi membri è la pietra angolare della struttura del Partito Comunista, in quanto chiamato ad assolvere il compito grandioso di trasformazione della società: non si può considerare sufficiente il semplice consenso al suo programma, comunista è colui che contribuisce attivamente alla realizzazione del programma e che lavora con impegno in una delle organizzazioni di Partito, accettandone la guida e il controllo. A questo fine in ogni Partito Comunista si creano le condizioni atte a consentire ai militanti di discutere tutte le questioni, di accertarsi che vengano attuate le decisioni prese, di scegliere i dirigenti e controllare il loro operato; non si limita la sua democrazia interna soltanto alla elezione dei dirigenti. La democrazia del Partito Comunista è una democrazia di azione unitaria attiva, tale cioè che i suoi membri non solo devono partecipare alle elezioni interne e alle discussioni ma intervengono praticamente a determinare l’orientamento del lavoro. Ma la partecipazione attiva di tutti i comunisti al lavoro di Partito non menoma l’importanza della direzione, la funzione di dirigenti che debbano possedere la capacità, la competenza e l’esperienza necessarie, costituendo il gruppo dirigente del Partito, i suoi quadri, il suo apparato elettivo che organizza praticamente il lavoro per la realizzazione delle decisioni prese, assicura la continuità delle esperienze e delle tradizioni. Nel Partito Comunista i quadri dirigenti non stanno al di sopra de militanti ma devono essere sotto il loro controllo e, pertanto, la democrazia di Partito è una condizione importantissima per la formazione, la selezione e l’educazione dei quadri dirigenti. Nel contempo la democrazia garantisce che la direzione si appoggi all’esperienza collettiva e non rifletta soltanto le opinioni personali di questo o quel funzionario; l’ampia discussione di tutte le questioni principali e l’elaborazione collettiva delle decisioni costituiscono un metodo di lavoro estremamente importante nel Partito che è necessario per la condivisione  delle varie esperienze e per la correzione delle lacune dell’attività politica in quanto aiuta a far prendere a tutti i militanti coscienza piena delle decisioni approvate. Ogni discussione di Partito deve essere connessa con l’esercizio della critica e dell’autocritica, cioè con la denuncia delle insufficienze del lavoro, con la spiegazione delle loro origini e con la presentazione delle proposte atte a rimuoverle. Finché una decisione non è stata presa, nel Partito possono essere enunciate opinioni diverse, possono urtarsi punti di vista opposti ma dopo che la decisione è stata presa, tutti i comunisti devono operare come un tutt’uno: questa è la sostanza della disciplina di Partito, che esige la sottomissione della minoranza alla maggioranza e l’assoluta obbligatorietà delle risoluzioni adottate. La disciplina assicura al partito la necessaria compattezza organizzativa, rende efficace la sua costante aspirazione a raggiungere i suoi fini. 

  • Rappresentanza sociale e rapporto col sindacato

Il Partito che vogliamo costruire dovrà necessariamente tenere conto della mutata composizione di classe nella società ed attrezzarsi al riguardo.  delle sue conseguenze. Certamente il superamento del fordismo nel postfordismo ha modificato profondamente il legame tra lavoro, produzione di conoscenze e loro diffusione e socializzazione, formazione professionale; rapporto che non è più vissuto nel senso tradizionale dell’apprendere una professione, perfezionarne le tecniche, affinarne le strategie, bensì in quello di una costante e consapevole disponibilità del lavoratore a sovvertire le proprie competenze specifiche e a riciclare le proprie attitudini generiche in un ricorrente altalenarsi tra occupazione, inoccupazione, formazione, nuova occupazione. Con il toyotismo viene sancita prima e perfezionata poi l’atomizzazione del lavoro salariato che progressivamente si estende e coinvolge l’intero mondo del lavoro, stravolgendo abitudini e mentalità del singolo lavoratore: l’individualismo penetra largamente anche nelle menti dei lavoratori salariati; la sfiducia, il qualunquismo, il populismo si diffondono largamente tra le classi lavoratrici. Il sistema capitalistico in questa fase accentua la polarizzazione sociale, producendo su larga scala la proletarizzazione di intere categorie professionali: lavoratori dipendenti anche se formalmente “autonomi” – il “popolo delle partite IVA” – ma anche lavoratori dei servizi e della logistica, tecnici informatici,  ricercatori e più in generale “lavoratori della conoscenza” diventano in larga misura dei salariati a tutti gli effetti, inseriti a pieno titolo nel ciclo della riproduzione capitalistica. Ancora oggi è in atto un processo di proletarizzazione diffusa soprattutto, in questa fase di prolungata crisi economica, tra i piccoli commercianti ed i piccoli artigiani. In questo quadro è possibile individuare alcuni obiettivi di carattere generale che permettano al Partito di poter unificare e guidare nella lotta tutti i lavoratori intrappolati nel catino della vecchia e della nuova proletarizzazione: nuove forme di tutela e nuovi diritti dei lavoratori, riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, riforma fiscale realmente progressiva, rilancio del ruolo dello Stato nell’economia e dunque della proprietà pubblica, supporto da parte dello Stato a forme di proprietà cooperativa da parte dei lavoratori di aziende in crisi. Sono questi, tra l’altro, tutti punti che si ritrovano nella nostra Costituzione. A rafforzamento dell’opera di “riappropriazione sociale” e di ricostruzione di un “blocco storico” da parte del Partito mi appare necessario e strategico il rapporto col movimento sindacale: un tema che merita una riflessione necessariamente non compiuta e tutta da sperimentare. Attualmente militanti comunisti sono presenti in diverse organizzazioni sindacali – a partire dalla Cgil e fino alla Usb – e da qui bisogna partire per costruire, innanzitutto, una unità d’azione che contribuisca a svincolare la Cgil da un’ossessiva ricerca della sponda moderata in Cisl e Uil fermo restando  il  lavoro che i comunisti devono svolgere all’interno delle Rappresentanze Sindacali Unitarie per il rafforzamento e lo sviluppo di un’azione sempre più penetrante e di “rottura” della concertazione. Altro obiettivo a cui tendere è quello relativo alla sindacalizzazione di categorie di lavoratori oggi ancora largamente “scoperte” e dunque prive di diritti: dai lavoratori immigrati – segnatamente nelle campagne, dove si determinano nuove forme di schiavismo – ai lavoratori della logistica, ai precari della ricerca. 




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