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QUANDO IL DEBITO PUBBLICO SERVE ALLO STATO

Per decenni il debito pubblico è stato descritto come un fardello, un macigno che ci schiaccia. A marzo 2020, l'Europa fu colta di sorpresa dalla pandemia, ma leggevamo sul Financial Times che secondo Mario Draghi - che da pochi mesi aveva lasciato la presidenza della Banca Centrale Europea - la risposta alla crisi avrebbe dovuto comportare "un significativo aumento del debito pubblico". Ma già da tempo un altro esponente di prestigio dell'ortodossia finanziata, Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale affermava cose simili. Costui nel 2019 scriveva che "un debito più alto non porta per forza a tasse più alte" e "se il tasso di crescita supera il tasso di interesse, il rapporto debito/Pil diminuirà nel tempo senza la necessità di aumentare le tasse". Una posizione in seguito ribadita anche da Francesco Giavazzi, principale consigliere di Draghi a Palazzo Chigi allorquando a gennaio 2021 ha scritto: "E un errore continuare a ripetere che il nostro problema maggiore è il debito pubblico: il nostro problema maggiore sta nell'assenza di crescita. Se la nostra economia crescesse più rapidamente del nostro debito, ripagarlo non sarebbe necessario". Poco più di un anno fa Giavazzi ha rafforzato il concetto, affermando che "il debito è un concetto del secolo scorso" e che "se non hai un piano buono chiudi il rubinetto, se invece hai un buon progetto lo finanzi". In pratica, la questione chiave è che il debito pubblico è ritenuto diverso dai debiti privati: si rinnova continuamente («roll over») e non si deve mai ripagare una volta per tutte. Tentativi di ridurre drasticamente o addirittura ripagare del tutto il debito pubblico hanno, infatti, spesso portato a crisi finanziarie, come nel 1835, quando gli Stati Uniti ripagarono totalmente il proprio debito ma innescarono subito dopo una tremenda crisi finanziaria. Nel 1996 l'economista Frederick Thayer faceva notare che "gli Stati Uniti hanno attraversato sei depressioni economiche significative e ognuna di esse fu preceduta da un prolungato periodo di riequilibrio di bilancio". Il punto fondamentale dal quale e sul quale gli economisti elaborano ed affinano questa teoria è che lo Stato non è inteso come una famiglia. Il prestigioso economista "liberal" americano, John Kenneth Galbraith, scriveva che "il confronto tra famiglia e Stato non sta in piedi. La ricchezza e la solvibilità di una nazione dipendono da ciò che produce la sua economia. Se prestiti e spese fanno aumentare la produzione, come sostiene Keynes, accrescono anche la sua solvibilità. Solo di rado invece i prestiti e le spese aumentano la ricchezza di una famiglia". In più c'è anche un altro aspetto da sottolineare: una famiglia ha un orizzonte temporale limitato, lo Stato no; gli Stati nascono e crollano, ma non 'muoiono' per cause naturali come le famiglie. Il debito pubblico è fondamentale perché, negli assetti istituzionali attuali, permette di sostenere la spesa pubblica e quindi l'attività economica. Quindi, in un sistema economico e politico funzionante, il debito pubblico è il titolo più sicuro in assoluto, se "usato" e "sostenuto" da una poderosa crescita economica. E questa la variabile fondamentale della tenuta finanziaria di uno Stato. È questo il problema principale dello Stato italiano.




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