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IL MECCANISMO EUROPEO DI STABILITA’

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (noto anche come MES e con l’acronimo del suo nome in inglese, ESM) è un’organizzazione intergovernativa dei paesi che condividono l’euro come moneta, e ha il compito di aiutare i paesi che si trovano in difficoltà economica. È una componente molto importante dell’unione monetaria: serve a mettere in comune il denaro di tutti e a utilizzarlo nel caso in cui uno stato membro si trovi in difficoltà, visto che – condividendo la stessa moneta – le difficoltà di un paese possono avere conseguenze anche sugli altri. Il MES venne creato nel settembre del 2012 e portò al superamento di altri due fondi creati in precedenza allo stesso scopo (EFSF ed EFSM). Il MES ha una dotazione di 80 miliardi di euro, pagati in maniera proporzionale all’importanza economica dei paesi dell’eurozona: con quasi il 27% del capitale la Germania è il primo contributore, e con ogni probabilità non usufruirà mai degli aiuti. Inoltre, emettendo titoli con la garanzia degli stati che ne fanno parte, il MES può raccogliere sui mercati finanziari fino a 700 miliardi di euro. Questi soldi poi possono essere prestati agli stati in difficoltà, per esempio per ricapitalizzare i loro sistemi bancari. Gli stati che vengono aiutati dal MES, se rispettano alcune condizioni, possono ricevere anche l’aiuto illimitato da parte della BCE sotto forma delle famose OMT, un piano che di fatto permette l’acquisto senza limiti di titoli di stato del paese in crisi. Per ricevere l’aiuto, uno stato deve accettare un piano di riforme la cui applicazione sarà sorvegliata dalla famosa “Troika”, il comitato costituito da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale. Il piano di riforme di solito prevede misure molto impopolari, come taglio alla spesa pubblica, in particolare alle pensioni, privatizzazioni, liberalizzazioni e flessibilizzazione delle leggi sul lavoro, allo scopo di rendere nuovamente sostenibili i conti pubblici. Fino a oggi Grecia, Cipro, Portogallo e Irlanda hanno usufruito di programmi di aiuto del MES. Che è il primo tentativo organico di dotare l’eurozona di un meccanismo per affrontare le crisi e insieme alla BCE rappresenta la figura più vicina a un “prestatore di ultima istanza” cioè un’istituzione che presta denaro a chi non riesce più a ricevere prestiti ed è anche un concreto tentativo di rendere il capitalismo dell’eurozona più coeso e il sistema finanziario più solidale. Ma le critiche nei confronti del MES non sono nuove, anzi, circolano fin dalla sua fondazione: c’è chi lo ritiene uno strumento che impone programmi di riforme spesso draconiane che gli stati devono accettare pur di ricevere i fondi; ma c’è anche chi, al contrario, ritiene che esso faccia troppo in cambio di troppo poco temendo che il meccanismo messo in piedi incentivi i paesi periferici a spendere più di quello che possono sapendo che saranno salvati con i soldi di qualcun altro. La riforma del MES discussa a partire dal 2018 è un tentativo di accontentare tutti, e in quanto tale è il frutto di un compromesso tra le parti: per esempio i paesi più indebitati, come l’Italia, che volevano che le linee di credito precauzionali erogate dal MES venissero concesse anche senza bisogno di sottoscrivere un accordo dettagliato di riforme impopolari, sono stati accontentati. Nella versione finale del MES questa modifica è stata accolta ma è stata aggiunta un’altra condizione, su richiesta degli stati economicamente più ricchi: per avere una linea di credito sarà sufficiente una lettera di intenti, ma solo per quegli stati che rispettano i parametri di Maastricht. Stando così le cose, in questa nuova versione del MES, 10 stati su 19 membri dell’eurozona, Italia compresa, non potranno utilizzare a loro vantaggio questa misura. I paesi indebitati hanno invece ottenuto una vittoria nella trattativa sul “backstop” per il Fondo di risoluzione unico, un fondo finanziato dalle banche europee che serve ad aiutare istituti finanziari in difficoltà. Con l’introduzione del “backstop” il MES potrà finanziare il Fondo di risoluzione fino a 55 miliardi di euro; le banche, soprattutto quelle della periferia europea, diventeranno così più sicure. Un’altra modifica introdotta dalla riforma del MES è stata, invece, voluta dai “rigoristi” del Nord Europa per rendere più facile “ristrutturare” il debito pubblico di un paese che chiede aiuto al MES: i privati che hanno prestato soldi agli Stati in crisi dovranno perdere una parte del loro investimento nel momento in cui scatterà un pacchetto di aiuti. Uno dei sistemi per ottenere questo risultato è l’obbligo di emettere un particolare tipo di titoli di stato (i cosiddetti “single limb CAC”) che permettono una “ristrutturazione” – cioè una riduzione concordata del valore del prestito fatto allo Stato – tramite il solo voto dei creditori invece che con le procedure più complesse delle altre tipologie di titoli di Stato. Questa clausola significa, da un lato, che un Paese in difficoltà potrebbe restituire meno di quello che deve ai suoi creditori ma, dall’altro, che i creditori, sapendo di questa possibilità, finiscano per chiedere interessi più alti ai Paesi che presumono più a rischio, come l’Italia. Nel caso in cui un paese non rispetti le condizioni di sostenibilità del debito, ed è probabile che ciò accada, parte una procedura che condiziona l'erogazione del prestito a tutta una serie di passaggi. Questi passaggi prevedono, tra le altre cose, la possibilità di ristrutturazione del debito, il che significa far pagare anche ai creditori privati una parte del salvataggio, cioè creditori non avrebbero parte del rimborso del debito o non vedrebbero pagati gli interessi che erano stati preventivati. Questo non è in sé sbagliato, il problema è che quando si evoca la possibilità di una ristrutturazione del debito e del coinvolgimento dei creditori privati, quel che bisogna fare è permettere contemporaneamente all'intero sistema monetario, e in particolare alla BCE, di erogare liquidità in massa. Solo così, anche se i creditori privati decidessero di vendere in massa i titoli per il timore di una ristrutturazione, si eviterà una ondata di ribassi sul mercato. Una tale situazione, però, potrebbe aggravare una esposizione alla crisi: fattore fondamentale è che se si vogliono coinvolgere i creditori privati nel processo di ristrutturazione, lo si  può fare solo a condizione che l'intero meccanismo sia orientato a far sì che la BCE eroghi liquidità abbondante e repentina, proprio per evitare che le paure dei creditori privati diventino poi crisi finanziarie, speculazione e crollo dei mercati. E qui si gioca una battaglia decisiva tra “rigoristi” e “riformisti” del sistema monetario e finanziario europeo.

 

 

 

 

 

 




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